Politica
Il Ddl Zan e la tutela dei diritti
Mai come ora in Italia si avverte la necessità di approvare una legge per proteggere veramente tutti: il DDL Zan, la tutela dei diritti.
di Alessandro Andrea Argeri
Credit foto Dave Pitt, licenza CC BY-NC-ND 2.0
Dalla coppia picchiata in metro a Milano per essersi scambiata un semplice bacio, ai cittadini siciliani costretti a cambiare paese perché non accettati dalla comunità. In Italia, dove mediamente ogni tre giorni avviene un caso di omofobia, il DDL ZAN rappresenta la necessità di rinnovamento, di tutelare i diritti non solo di genere, ma anche di libertà d’espressione.
Il DDL Zan è il disegno di legge antiomofobia, il cui titolo “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” ne rende ben chiara la materia: maggior tutela nei confronti di omosessuali, donne, disabili, quindi ulteriori aggravanti contro i crimini d’odio. Può essere definito un vero e proprio manifesto della cultura tollerante di cui necessita il nostro Paese, infatti già dall’articolo 1 sono definiti, o meglio “aggiornati”, i vocaboli principali inerenti alla questione.
Per “sesso” si intende il fenotipo di un individuo, ovvero se biologicamente esso è maschio o femmina, mentre per “orientamento sessuale” l’attrazione sessuale o affettiva verso persone dello stesso sesso o di uno opposto. A tal proposito, si parla di “identità di genere” se ci si riconosce in un uomo o in una donna, dopo averne acquistata consapevolezza indipendentemente dal sesso con cui si è nati.
Oltre ad aggiornare le terminologie linguistiche, il DDL ZAN prevede di adattare l’articolo 604-bis del codice penale sui reati di discriminazione razziale, etica, religiosa, in modo da includere tra essi anche crimini d’odio “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’indennità di genere o sulla disabilità”.
Con l’approvazione del disegno di legge, sarebbe inoltre dichiarata il 17 maggio la Giornata Nazionale contro “l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione”, con finalità educativa anche nelle scuole.
Ovviamente, come già precisato anche nello stesso titolo, il DDL non intacca la libertà d’espressione, poiché nell’articolo 4, non a caso intitolato “pluralismo delle idee e libertà delle scelte”, è chiaramente enunciato che: “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compi mento di atti discriminatori o violenti”. In poche parole: non si viene condannati per aver espresso la propria opinione, ma se si commette un concreto reato di violenza.
Tuttavia il DDL è stato approvato nel novembre 2020 solo alla Camera dei Deputati, mentre la delibera in Senato è ferma a causa della tattica ostruzionista della Lega, incentrata sulle continue richieste di modifica, sull’attaccamento a cavilli tanto inesistenti da lasciar presagire più di qualche dubbio sulle effettive capacità di comprensione del testo dei nostri senatori. Fingere di non conoscere la parola “genere” significa dichiarare di non aver mai letto nemmeno un libro della letteratura dell’ultimo ventennio, oltre che essere completamente disinformati sugli ultimi trattati internazionali firmati proprio dall’Italia in merito, in entrambi i casi caratteristiche non proprio “onorevoli”.
Ad ogni modo, in democrazia possono parlare tutti, per fortuna, è il peso delle opinioni però a contare veramente. In quest’ottica di certo non sono importanti le dichiarazioni di fenomeni sociali costretti ad impersonare un’indecorosa parte affinché si continui a parlare di loro, nella logica del “tutto pur di rimanere a galla”. “L’omosessualità è una malattia”, “le donne sono più propense all’accudimento, mentre i ragazzi verso le materie scientifiche”, con poche semplici dichiarazioni vengono barbaricamente cestinati secoli di lotta per la parità dei diritti e delle opportunità. Sarebbero questi i difensori della famiglia: falsi intellettuali convinti di possedere a priori una verità distorta.
Eppure definire l’amore è impossibile. Ad oggi infatti non sappiamo ancora se esso sia un sentimento, un istinto, o una semplice reazione chimica. Nel periodo aureo della civiltà il legame omosessuale era assolutamente normale, la famiglia non era circoscritta a mamma in cucina, papà al lavoro, figlio maschio vestito d’azzurro, figlia femmina col vestitino rosa, tuttavia qualcosa è andato perduto. Forse nel nostro svilupparci siamo stati comunque capaci di regredire.
In ogni caso, giugno è il “Pride Month”: il mese della parità di genere, dell’amore in ogni sua declinazione, con iniziative arcobaleno per la difesa dei diritti delle persone omosessuali. Nei maggiori stati europei esistono già leggi contro l’omofobia, invece noi in Italia restiamo chiusi in un bigotto cattolicesimo altamente discriminatorio. Ma è veramente importante valutare una persona per il “genere”, anziché per le effettive capacità intellettuali?
Per chiunque voglia visionare il decreto, basta cliccare sul seguente link: http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/53457.htm
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