Politica
Il profitto prima di tutto
di Lavinia Orlando
La morte è evento difficilmente accettabile.
Lo è tanto quando riguardi chi abbia avuto la fortuna di giungere al secolo d’età, quanto – a maggior ragione – nel momento in cui colpisca giovani donne e uomini o, addirittura, bambini.
Ed è inaccettabile sia quando si verifica a causa di circostanze fortuite ed imprevedibili, se non del tutto inevitabili, sia, soprattutto, quando si determina a causa di comportamenti deliberatamente posti in essere, o con la volontà di uccidere o con la consapevolezza di mettere a rischio una o più vite. A maggior ragione laddove il comportamento in questione sia determinato dalla volontà di fare profitto.
La tragedia della funivia che da Stresa conduce al Mottarone rientra inequivocabilmente in quest’ultima casistica, col connesso carico di ben quattordici vittime ed un bambino di soli cinque anni come unico sopravvissuto, ma divenuto improvvisamente orfano di entrambi i genitori. Ed è questa la ragione per cui la vicenda suscita ira generalizzata.
Famiglie che, in una delle prime giornate di riapertura dopo la terza ondata di coronavirus, avrebbero semplicemente voluto trascorrere una domenica di relax. La fune dell’impianto di risalita che si spezza – non si ancora per quale ragione. Il meccanismo frenante che non entra in funzione, bloccato coscientemente da chi ne avrebbe dovuto assicurare il funzionamento. Fino al disastroso epilogo della cabina che si schianta.
Ed è proprio quel meccanismo di emergenza neutralizzato poiché entrava sovente in azione, anche in assenza di chiare cause scatenanti, così generando continui disservizi nel funzionamento della funivia, ad aver determinato la fine di quattordici vite. Per la risoluzione della problematica, l’impianto avrebbe necessitato di interventi più importanti con ulteriori pause nel funzionamento, circostanza inimmaginabile per chi è già stato fermo per tanti mesi a causa della pandemia. Meglio tentare la sorte, puntando sulla scommessa che mai e poi mai la fune avrebbe potuto spezzarsi.
Qualcuno lo definirebbe un “rischio calcolato”, parafrasando uno dei leitmotiv di quest’ultimo periodo, che tuttavia, al contrario di quanto si sta verificando con le riaperture e la pandemia, si è rivelato, nel caso del Mottarone, un omicidio plurimo, determinato da ragioni abiette, ossia quelle economiche.
A ben vedere, l’episodio non è che l’ultimo tra tanti, verificatisi sotto lo slogan “la sicurezza e la salute prima di tutto, ma sempre e solo dopo l’economia, il profitto ed il fatturato” – con quest’ultimo che spetta sovente a pochi soggetti, usualmente differenti da coloro la cui salute dovrebbe essere tutelata.
Si pensi, ad esempio, ai tanti episodi in cui lavoratrici e lavoratori periscono nel luogo in cui trascorrono almeno sei ore della loro giornata nel tentativo di sbarcare il lunario, proprio per carenze inerenti al rispetto della normativa sulla sicurezza, per ragioni del tutto assimilabili a quelle che avrebbero determinato la vicenda del Mottarone: il profitto.
Del resto, all’esito di quasi un anno e mezzo di limitazioni legate alla malattia da Covid-19, genera notevole dose di sgomento la circostanza che molti tra coloro che non hanno fatto altro che criticare le chiusure di attività commerciali e produttive, continuando a pretendere l’anteposizione dell’economia alla salute, siano ora in prima linea nella condanna dei presunti responsabili della tragedia della funivia. Parliamo degli stessi che, mentre si contavano centinaia di morti al giorno a causa del coronavirus, proseguivano con la litania della dittatura sanitaria e della supremazia dei soldi.
“Se non moriremo di Covid, periremo di fame” è una delle frasi più gettonate degli ultimi mesi, pronunciata anche da chi, da leader di partiti nazionali, dovrebbe rappresentare un esempio di virtù e buon comportamento. E che, al pari degli indagati per la vicenda Mottarone, non dovrebbe sentirsi meno colpevole, in quanto vero e proprio mandante morale di questo e dei tanti altri precedenti omicidi commessi in nome del dio denaro.