Politica
Prescrizione si, prescrizione no
di LAVINIA ORLANDO
Che la tematica “prescrizione” stia inaspettatamente ma progressivamente divenendo una delle principali ragioni di contesa nell’esecutivo Conte è sotto gli occhi di tutti; che, tuttavia, tale argomento possa davvero condurre a fine anticipata il governo giallo-rosso pare un esito alquanto remoto, rappresentando, piuttosto, un tema intorno al quale ciascuna forza politica stia dando sfoggio delle rispettive “capacità muscolari”.
La questione principale, tuttavia, resta al momento un’altra: quanto ha senso tutta la discussione che si è aperta intorno a quest’importante istituto giuridico?
Volendo usare una metafora, forse alquanto ardita, la prescrizione sta ai processi come la spugna sta ad una lavagna colma di scritti: si tratta, cioè, di uno strumento che consente, decorso un certo lasso di tempo, di cancellare il processo, ossia, fuor di metafora, di estinguere indifferentemente i reati – tranne, beninteso, che non si tratti di illeciti penali per cui la legge prevede la pena dell’ergastolo.
L’istituto di cui si discorre viene introdotto nel nostro ordinamento con l’intento, da una parte, di deflazionare il carico di lavoro dei tribunali e, dall’altra, di assicurare che un’eventuale pena, se comminata ad eccessiva distanza di tempo rispetto alla commissione del reato, non perda totalmente di significato (la c.d. rilevanza sociale).
La situazione attuale è letteralmente disastrosa: ogni anno, centinaia di migliaia di procedimenti penali svaniscono nel nulla, sovente senza che neanche si sia giunti al processo, già durante la fase delle indagini – si rammenti che la prescrizione decorre, generalmente, dal momento della commissione del reato.
Per porre rimedio a tale barbarie, con la riforma c.d. Spazzacorrotti, approvata nel gennaio 2019 dall’esecutivo giallo-verde, ma la cui efficacia, limitatamente alle innovazioni sulla prescrizione, è stata differita al 1 gennaio 2020, si è introdotto il principio per cui il decorso della prescrizione si arresta dopo la sentenza di primo grado o il decreto di condanna.
Per quanto chi osteggia la riforma continui a parlare di una scelta dirompente, va precisato che, proprio per le ragioni sopra elencate, essa non tocca i tanti procedimenti che, non solo non giungono a sentenza di primo grado, ma che non arrivano neanche a processo, circostanza che riduce di molto la percentuale di cause penali interessate dall’innovazione.
L’attuale bagarre è tra chi urla allo scandalo perché la riforma determinerebbe la lunghezza infinita dei procedimenti, contrastando la stessa col principio costituzionale della ragionevole durata dei processi ed andando a sfavore degli imputati realmente innocenti, costretti a rivestire tale status per anni, con tutto il discredito che da ciò deriva, e chi, al contrario, lamenta le pesanti ingiustizie legate all’estinzione di processi aventi ad oggetto, solo per fare degli esempi, disastri ambientali ed infortuni sul lavoro, rimasti impuniti proprio grazie alla prescrizione – basti ricordare Berlusconi, che ha usufruito dell’istituto per ben nove volte, peraltro dopo averlo modificato, palesemente in suo favore.
Se la posizione nettamente contraria alla riforma espressa, ad esempio, da Forza Italia non lascia per nulla sorpresi, genera molti interrogativi l’avversione mostrata da Matteo Renzi. Negli anni passati, proprio quando era Segretario del Pd, l’ex Premier condivideva posizioni molto simili, se non identiche, a quella recepita dalla riforma predetta, addirittura proponendo il possibile slittamento del decorso della prescrizione dal momento in cui il reato è stato commesso al momento in cui viene scoperto – posizione che avrebbe determinato un notevole allungamento dei processi, al cui cospetto la riforma “Spazzacorrotti” risulterebbe molto edulcorata. Ora, invece, come spesso accade con Renzi, la sua idea è cambiata, risultando sovrapponibile a quanto da sempre espresso da Berlusconi e sodali. E non è ancora dato sapere se si tratti del solito tentativo di smarcarsi dalla maggioranza di cui fa ancora parte e di acquisire un minimo di visibilità, o di un effettivo mutamento di idea, o, ipotesi peggiore, della voglia di tutelare i tanti malfattori – sovente potenti – che grazie alla prescrizione continuerebbero ad essere graziati.
Fatto sta che la polemica avviata da “Italia Viva” ha il merito di aver riacceso i riflettori su di una questione tanto tecnica quanto fondamentale. L’urgenza di una riforma del sistema processuale italiano meritava una risposta ancora più celere, non essendo più possibile sopportare, da una parte la fine anticipata di processi con carnefici impuniti e vittime doppiamente uccise, punto su cui è intervenuta la modifica sopra esposta, dall’altra procedimenti dalla lunghezza infinita, sulla cui problematica l’attuale governo ha promesso la celere presentazione della tanto attesa riforma del processo penale, unitamente ad alcune modifiche sulla prescrizione medesima.