Oasi Culturale
Iraq, vent’anni dopo tutto è rimasto uguale, a partire dalla retorica
Benvenuti su “Oasi Culturale”, rubrica de ilsudest.it a cura di Alessandro Andrea Argeri e Sara D’Angelo. L’argomento del giorno è il ventesimo anniversario dell’invasione dell’Iraq di Saddam Hussein da parte degli Stati Unti di George W. Bush. Se vi va, scriveteci: redazione@ilsudest.it/alexargeriwork@gmail.com
di Alessandro Andrea Argeri
Il 20 marzo 2003 cade l’anniversario della guerra in Iraq dichiarata dagli Stati Uniti contro il regime di Saddam Hussein. Ai tempi se ne sono dette tante: non era un conflitto bellico ma “lotta al terrorismo”, perché bisognava “esportare la democrazia” in uno “scontro di civiltà da cui dipendeva il futuro dell’Occidente”, per questo le torture ai danni dei prigionieri erano “effetti collaterali” della “mancanza di professionalità, di addestramento, di controllo”. Oltretutto, se si cercano articoli risalenti a quegli anni, è incredibile come già allora si scrivessero titoli ormai immancabili del tipo: “tizio svela i piani del dittatore Hussein”, “la bordata di Caio: ‘l’errore dell’Iraq è stato questo…”, “Sempronio: ‘ecco quanto durerà la guerra’”.
Alla fine però non solo le armi chimiche in Iraq non c’erano mai state, anzi le avevano portate gli americani quando si erano messi a bombardare col fosforo bianco, ma Saddam nemmeno proteggeva Bin Laden, anche perché i due si erano condannati a morte reciprocamente. Insomma, come ha scritto Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano il 21 marzo 2023, “quando stai con i buoni, puoi fare di tutto, anche peggio dei cattivi. Poi magari, vent’anni dopo, ti scandalizzi perché i cattivi hanno imparato dai buoni. Ogni riferimento a fatti o personaggi di oggi è puramente intenzionale”. Per una narrazione diversa dalla propaganda consiglio di leggere “Il diario di guerra dell’invasione dell’Iraq”, reportage realizzato da Massimo Nava disponibile nell’archivio del Corriere della Sera.
Ad ogni modo, sui libri di storia contemporanea la guerra è stata consegnata ai posteri in estrema sintesi. Forse per questo l’impressione dominante è quella di un diverbio di un satrapo mediorientale contro un americano proveniente da una ricca famiglia del Texas. Ah, sì, nel mentre ci sono stati morti incalcolabili, ma quelli evidentemente sono secondari, anzi, “necessari per i valori democratici”. Ebbene, le democrazie non riescono a fermare i propri governanti dallo scatenare guerre, mentre le dittature attendono le truppe nemiche come liberatori.
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