Oasi Culturale
“La Fiera delle Illusioni” (recensione senza spoiler), “Cambiare l’acqua ai fiori” non perde lo smalto.
Bentrovati su “Oasi Culturale”, rubrica de ilsudest.it. Oggi Alessandro Andrea Argeri recensirà “La Fiera delle Illusioni”, il nuovo film di Gullielmo del Toro uscito nelle sale il 2 gennaio 2022, mentre Sara D’Angelo scriverà del successo editoriale “Cambiare l’acqua ai fiori”, il romanzo di Valérie Perrin. Buona lettura!
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Nella foto “Pink Landscape” (1910), di Giovanni Boldini. Immagine di dominio pubblico.
A lezioni di cinema da Guillermo del Toro.
di Alessandro Andrea Argeri.
Il cinema si fonde con l’illusionismo per narrare il nostro tempo, in una storia risalente agli anni ’30 dove lo spettatore va in conto al coinvolgimento emotivo anziché all’effetto straniamento come comunemente ci si aspetterebbe da una storia ambientata nel passato. Dopo lo straordinario successo de “La Forma dell’Acqua”, Guillirmo del Toro costruisce sul confine tra realtà e illusione un noir oscuro, cupo, decadente, ispirato a Nightmare Alley, celebre classico del mistery americano scritto da William Gresham nel 1940.
Stanton Carlisle, un giostraio nullatenente, nullafacente, ma molto ambizioso, con un talento per manipolare le persone con poche parole ben scelte, inizia una relazione con una psichiatra, Lilith Ritter, che si rivela essere ancora più pericolosa di lui. Grazie alle abilità manipolatorie, Stan intraprende la sua scalata sociale, trasforma la propria immagine in un “brand”, per certi versi tenta di diventare una sorta di “Oscar Wilde americano” nel voler consacrarsi all’eccezionale. Tuttavia l’ascesa è in realtà una lenta caduta di un uomo divorato dall’ego, dall’ambizione, dal bisogno di sentirsi vivo, dalle bugie raccontate non solo a chi lo circonda, ma soprattutto a se stesso. La lotta tra percezione e realtà effettiva è dunque il tema centrale di questo capolavoro cinematografico, dotato oltretutto di una splendida fotografia per quanto riguarda il comparto immagini.
Manipolatori, manipolati, chiaroveggenti, bruti, mentalisti, imbroglioni, impresari, mostri, false verità travestite da splendide bugie in un mondo tetro, violento, indecifrabile. La realtà collassa, si rivela incomprensibile mentre il regista mostra i tutti i tipici meccanismi della messa in scena, dell’arte del mentire. Nonostante il genere noir tenda al paranormale, il film rappresenta un dramma totalmente umano, in cui permane l’insegnamento imparato da “La Forma dell’Acqua”: ci adattiamo al contesto, ci alteriamo per gli altri, siamo prestigiatori di uno spettacolo, il cui sipario cala solo quando su di noi si spengono le luci. Allora, la domanda finale con cui Guillermo del Toro ci lascia è: i registi, sono i nuovi illusionisti? Sicuramente i mostri sono le persone.
“Cambiare l’acqua ai fiori” di Valérie Perrin.
di Sara D’Angelo
Dalla vetta delle classifiche letterarie il romanzo “Cambiare l’acqua ai fiori” di Valérie Perrin sembra non accontentarsi della continua ascesa, preparandosi a superare prestigiose tappe nel settore della narrativa straniera. Dalla culla francese è entrato nelle case italiane accompagnando i giorni angosciosi del lockdown in un’atmosfera separata dagli infelici eventi. Con più di un milione di copie vendute in tutta Europa (numero in continuo crescendo), il romanzo entra con tutti gli onori nella classifica dei libri più venduti di sempre, considerato a tutti gli effetti un caso editoriale. Nel 2018 ha vinto il Prix Maison de la Presse con la seguente motivazione: “Un romanzo sensibile, un libro che vi porta dalle lacrime alle risate con personaggi divertenti e commoventi”, e nel 2019 il Prix des Lecteurs du Livre de Poche.
In una cittadina della Borgogna vive Violette Toussaint, guardiana del cimitero, moglie e madre, due figure alimentate da sentimenti opposti. Non una sola, ma tante le virtù che confessano in coro la sensibilità di colei che vive per ascoltare il dolore del prossimo, amico o estraneo, anime con un lutto in comune. Il pensiero della morte accompagna il verde inerte dei cipressi in fila come reduci di una guerra. Di una vita. L’ossessione dell’eterno si avverte tra i viali interrotti dalle lapidi marchiate da un nome e una data.
La casa di Violetta ospita il dolore di chi, per la prima volta, si presenta al cancello con il volto inghiottito dalle lacrime per un affetto perduto. E lei consola, screma le parole da dire e da evitare, dimezza il dolore perché lo condivide. “C’è qualcosa di più forte della morte, ed è la presenza degli assenti nella memoria dei vivi”. Quando scende la notte il cimitero si popola di ombre mute, una forma di rimuginio loquace allergico al giorno.
“Cambiare l’acqua ai fiori” come un suggerimento a un laghetto cristallino di scuotere le sue acque oziose prima di diventare pozzanghera. La scrittrice francese Valérie Perrin spende cinquecento pagine per focalizzare l’attenzione sulla bellezza dell’umanità permeata da sentimenti sibillini, anticipando il velo grigio della polvere. L’ombra di un mistero cammina e corre sopra segreti complici di lastre di marmo appartato, sarà questo il groviglio emotivo del presente e del passato di Violette Toussaint?
La poderosa mole del romanzo si concede tutto il tempo per farsi variegato ventaglio dei sentimenti di Violette. Amaro contatto quello con il marito Philippe Toussaint, sposo fedele al tradimento e all’abbandono, dolcissimo amore per la sua bambina che presto, molto presto, colorerà di giallo le righe più crude. Un incrocio di storie al bivio sensibile del respiro improvvisamente divenuto memoria.
Un testo drammatico, se lo sguardo non osa andare oltre l’immagine del cancello aperto per accogliere la vestizione dell’anima alle spalle del soldato-cipresso. La morte separa il fiore dal suo petalo commosso di lasciare nella disperazione il gambo reciso. Divide per poi moltiplicare le tracce dell’amore dato e ricevuto nel giardino della nuova dimensione.
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