Esteri
USA 2024: esito pacifico o tumultuoso per un futuro radioso o declinante?
Di Fulvio Rapanà
Come andrà a finire questa campagna elettorale che vinca la Harris o Trump conta molto per gli americani meno per il resto del mondo che si sta organizzando per fare a meno degli Usa e del dollaro. Nessuno dei sondaggisti si sbilancia sull’esito finale a decidere saranno al massimo una cinquantina di seggi elettorali che determineranno l’esito nei 7 stati da sempre contesi: Pennsylvania , Georgia, Michigan, Wisconsin, North Carolina , Arizona e Nevada. In Italia si favoleggia che lo “sceriffo” venga eletto direttamente dal popolo, come vorrebbe la Meloni, ma non è così, che siano i grandi elettori per il Presidente o i partiti per le cariche pubbliche dal Congresso allo sceriffo della contea si passa sempre da un filtro composto da persone elette in una votazione popolare ma sempre candidate dai partiti composti principalmente da persone non elette. Tecnicismi poco rilevanti rispetto alla domanda iniziale su cosa succederà dopo il 5 novembre giorno finale delle elezioni già partite in alcuni stati da un mese. Mi sbilancio sulle previsioni dell’esito: la Harris prenderà a livello nazionale una decina di milioni in più voti di Trump ma è possibile che perda le elezioni per un numero minore di delegati. La mia convinzione deriva da una serie di evidenze: tutti i sondaggi danno alla pari Trump e la Harris nonostante questa ha speso, per la campagna elettorale, il doppio dei soldi di Trump; malgrado l’appello di 80 premi nobel a favore della Harris; benché abbia avuto l’appoggio di ex politici molto influenti dell’apparato repubblicano come la Chiney, o di alti funzionari della precedente amministrazione Trump come, solo per nominare i più importanti, l’ex Vice Presidente Mike Pence, il potentissimo ex capo dello staff di Trump il Generale John Kelly, o come Nikky Alley Ambasciatrice all’ONU nominata da Trump, o James Mattis segretario alla Difesa nominato da Trump o l’ex direttore delle comunicazioni della Casa Bianca Anthony Scaramucci; la Harris ha ricevuto l’appoggio del mondo dello spettacolo da Taylor Swift a Beyoncé a Springsteen a Meryl Streep a George Clooney. Nonostante la Harris abbia tutti questi “endorsement”, approvazioni, adesioni e sostegni, Trump è alla pari con la Harris. E ancora di più Trump è alla pari pur avendo l’ appoggio non troppo positivo di Elon Musk, un personaggio piuttosto detestato, che da quando ha acquistato Twitter è riuscito a perdere negli Usa 27 milioni di utenti e un valore in borsa pari a 35 miliardi di dollari passando da 44 miliardi del prezzo di acquisto a 9 miliardi del valore attuale in borsa. Il messaggio di Trump contiene tratti endemici della società americana come l’isolazionismo, lo scontro fra le società urbane e quelle rurali, il ruolo e il livello di intrusione dello Stato Federale nella vita e nella gestione di una società socialmente ed economicamente estremamente complessa e articolata ; un diverso atteggiamento verso l’immigrazione fra chi la considera come una opportunità da gestire anche in relazione con il calo demografico e la carenza di lavoratori a basso mansione, rispetto all’ altra parte della società più identitaria che ha un rigetto verso questa “invasione” ; fra l’America che acquista i pick up prodotti negli Usa rispetto a quella che acquista auto tedesche o giapponesi e per questo è accusata dalla prima di avere contribuito al declino dell’industria automobilistica americana; un’America che considera prioritaria la libertà personale e collettiva rispetto alla democrazia e alle regole che la disciplinano. Trump ha tirato fuori le paure e i rancori presenti da sempre in una parte molto rilevante della società americana dandogli voce, dignità e rappresentatività politica e mediatica e che impersonerebbe un cambiamento radicale e non dei piccoli aggiustamenti qua o là come promette la Harris. Ho utilizzato il condizionale perché come nel resto del mondo, particolarmente in Italia, le promesse a chiacchiere delle destre volano come coriandoli ma la realtà del governare è completamente diversa. E’ un popolo meno infido e pericoloso di quello di Wall Street, dei fondi equity, dei social e dell’intelligenza artificiale ma più minaccioso e disposto a contrapporsi fisicamente armi alla mano. Le autorità che sovrintendono alla sicurezza in generale e delle elezioni in particolare sono fortemente in allerta anche per il ricordo del 6 gennaio 2021 con l’assalto al Campidoglio. Se vince Trump potrebbe andare quasi tutto liscio in quanto i Democratici non hanno un partito organizzato in modo “militante” ma se Trump dovesse perdere, così come è successo nel 2020, di pochi voti negli stati chiave il timore è di una scesa in strada di gente armata in molti stati a maggioranza repubblicana e non solo. “Si stanno preparando a IMBROGLIARE!” ha urlato Trump in un post su Truth Social del 23 settembre. Gli alleati repubblicani di Trump al Congresso e negli stati hanno fatto eco a queste affermazioni, ricevendo il forte sostegno di Musk, che ha diffuso voci e teorie di complotti già in corso ai 200 milioni di follower di X. I sondaggi mostrano che i repubblicani, in percentuali molto superiori rispetto ai democratici e agli indipendenti, non hanno fiducia nella regolarità del voto e sono certi di brogli nei conteggi . Trump ha lavorato in questi 4 anni per una rivincita politica e per una gestione elettorale e post elettorale in modo minuzioso. Rispetto al 2020 non ha più le leve del potere pubblico: Esercito, Polizia, FBI e Guardia Nazionale hanno a capo uomini messi li dai democratici quindi l’uso della forza sulle istituzioni statali è escluso ci potrà essere in modo diffuso, così come è avvenuto in Brasile dopo l’elezione di Lula, da parte dei sostenitori di Bolsonaro, con l’occupazione di strade, municipi, comitati e seggi elettorali che Trump utilizzerebbe come miccia per rovesciare con strumenti di tipo politico/istituzionale l’esito delle elezioni se fossero a lui sfavorevoli. Ha riorganizzato l’intera struttura elettorale dei Repubblicani concentrandosi su 4 fattori: a)generare sfiducia alimentando dubbi profondi, e infondati, sulla correttezza delle elezioni;b) allertare i suoi supporter nelle commissioni elettorali dei singoli stati e delle contee; c)aumentare il contrasto tramite cause legali;d) pressioni sulle attività istituzionali per condizionare il “processo di nomina del Presidente” che è di competenza della Camera a maggioranza Repubblicana. I quattro punti partono in sequenza con il primo che sta lavorando alacremente da almeno un anno. Tralascio i primi tre fattori che possono generare incertezza, frustrazione, caos e disordini anche violenti ma che non incidono direttamente sulla nomina del nuovo presidente. Il quarto punto rappresenta l’ultima possibilità per Trump di provare a sovvertire il “processo elettorale di elezione del Presidente” che avviene, semplificando al massimo, con questi passaggi: i governatori dei 50 stati inviano allo speaker della camera, che attualmente è Mike Johnson , repubblicano trampiano, i risultati elettorali e il nome del vincitore che si aggiudica il voto di tutti i delegati dello stato, quando uno dei due candidati si aggiudica 270 delegati lo speaker batte con il martello e “dichiara il nome del candidato eletto presidente”. Trump e i repubblicani potrebbero incidere in questa prassi utilizzando i poteri Mike Johnson che in presenza di violenza diffusa e di incertezza sul reale esito delle elezioni può annullare le certificazioni che gli pervengono dai governatori innescando una procedura chiamata “elezione contingente alla Camera” , con la quale ogni delegazione statale ottiene un singolo voto. I repubblicani alla Camera controllano 26 delegazioni statali contro le 22 dei democratici, con altre due equamente divise, e avrebbero quindi la maggioranza e sceglierebbero quasi certamente di eleggere Trump presidente. I democratici, che hanno a disposizione meno capipopolo ma più cervelli , si sono preparati a come opporsi con azioni di contrasto da utilizzare a secondo di quanto ampio sarà il margine di vittoria della Harris, dalla forza dei democratici nel Congresso e se tra le fila del repubblicani ci saranno abbastanza moderati disposti a opporsi a Trump e non sovvertire le istituzioni democratiche. In definitiva, per impedire la certificazione della vittoria di Harris, per i Repubblicani ci vorrebbe un buon esito elettorale con uno scarto di delegati e di voti a favore della Harris molto risicato e una notevole complicità tra gli alleati di Trump, praticamente a ogni livello di governo, che accettino di essere parte attiva in una decisione che si può definire illecita. Come ha recentemente affermato Rick Hansen professore di diritto elettorale all’Università della California ” Se succedono questi fatti allora stiamo davvero entrando nel regno dell’illegalità, se le istituzioni sono disposte a ignorare la legge e a dichiarare qualcuno vincitore contro l’esito del voto, allora stiamo parlando di un vero colpo di stato”. Sulla Harris c’è poco da dire se vince lo deve alla buona gestione dell’economia fatta da Biden se perde lo può imputare sempre a Biden che si è giocato quel poco di reputazione che gli Usa hanno a livello mondiale con una pessima politica estera in Ucraina e in Medioriente rivelatasi priva di energia e di capacità di dissuasione o di persuasione su amici e nemici. I sondaggisti prevedono che alla Harris mancheranno una parte rilevante del tradizionale elettorato di colore che voterà Trump (!!), che l’elettorato mussulmano non andrà a votare e che i gruppi di sinistra dei Democratici potrebbero non votare contestando alla Harris un programma di politica interna e internazionale troppo conservatrice. Si dirà che si tratta di una piccola parte dell’elettorato ma quando i margini sono così risicati bastano poche migliaia di elettori in quei 7 stati in bilico per fare la differenza per Trump o la Harris.
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