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L’Allarme di Ualid Rabah: La Minaccia delle Guerre Tecnologiche e gli Omicidi Israeliani in Libano con l’Uso di Cercapersone come Armi

In una recente dichiarazione pubblicata su YouTube, Ualid Rabah, presidente della Federazione Araba Palestinese del Brasile (Fepal), ha lanciato un grave allarme sull’uso di tecnologie di comunicazione, come cercapersone e telefoni cellulari, nei conflitti armati.

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Credit foto (Foto: Pedro França/Agência Senado | Ricardo Stuckert/PR | Jacquelyn Martin/Pool via Reuters)

Di Marlene Madalena Pozzan Foschiera

In una recente dichiarazione pubblicata su YouTube, Ualid Rabah, presidente della Federazione Araba Palestinese del Brasile (Fepal), ha lanciato un grave allarme sull’uso di tecnologie di comunicazione, come cercapersone e telefoni cellulari, nei conflitti armati. Secondo Rabah, Israele e gli Stati Uniti starebbero impiegando questi dispositivi in operazioni militari in Libano, provocando esplosioni che hanno causato migliaia di feriti e quasi una decina di morti. Rabah ha sottolineato la gravità della situazione e le sue conseguenze geopolitiche nell’attuale contesto globale.

Rabah va oltre un incidente isolato, descrivendo un “mondo quasi distopico e futuristico”, in cui tecnologie comuni vengono trasformate in strumenti letali. Egli avverte che chiunque, in qualsiasi parte del mondo, ora può sterminare centinaia o migliaia di vite attraverso la manipolazione di dispositivi elettronici, creando una nuova e preoccupante minaccia globale. Per Rabah, le azioni di Israele e degli Stati Uniti, utilizzando queste tecnologie in modo distruttivo, mettono a rischio la sicurezza mondiale.

Queste preoccupazioni sollevate da Rabah sono condivise da molte voci in tutto il mondo. Esperti, organizzazioni e persino governi hanno denunciato l’uso crescente di tecnologie sia per fini militari sia per sorveglianza, sollevando interrogativi simili su come tali progressi tecnologici possano essere trasformati in armi di distruzione di massa.

1. Droni e Armi Autonome: L’uso crescente di droni per effettuare attacchi militari in luoghi come Gaza, Siria e Yemen rafforza le osservazioni di Rabah sull’uso di tecnologie per omicidi di massa. Questi attacchi, spesso condotti a grande distanza, hanno causato la morte di numerosi civili, sollevando severe critiche sulla disumanizzazione della guerra attraverso la tecnologia.

2. Spionaggio e Sorveglianza Globale: La denuncia di Edward Snowden nel 2013, che ha rivelato lo spionaggio di massa da parte degli Stati Uniti, serve come esempio delle preoccupazioni sollevate da Rabah riguardo al controllo e alla manipolazione dei dispositivi elettronici. Telefoni cellulari e altre tecnologie, che fanno parte della vita quotidiana di milioni di persone, vengono utilizzati per sorveglianza e controllo globale, compromettendo la privacy e la sicurezza.

3. Cyberattacchi: L’aumento degli attacchi informatici contro infrastrutture critiche, come centrali elettriche, sistemi finanziari e persino ospedali, mostra il potenziale distruttivo della tecnologia. Nel 2020, ad esempio, gli ospedali sono stati bersaglio di attacchi informatici durante la pandemia, dimostrando come la tecnologia possa essere trasformata in un’arma devastante, anche lontano dai campi di battaglia.

4. Denunce di Ingiustizia in Conflitti Specifici: Organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International denunciano frequentemente l’uso della tecnologia nei conflitti, come nel caso di Gaza, dove Israele è stato criticato per l’uso di droni e sistemi di sorveglianza che hanno provocato la morte di civili. Queste pratiche sono considerate violazioni dei diritti umani e aggravano ulteriormente la situazione umanitaria nelle aree di conflitto.

5. Manipolazione Digitale e Disinformazione: Piattaforme digitali come WhatsApp, citate da Rabah, vengono sempre più utilizzate per disinformazione e manipolazione, sia a livello politico che sociale. Un esempio notevole è stata l’interferenza nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 2016, quando hacker e campagne di disinformazione hanno sfruttato i social media per influenzare il risultato, dimostrando il potere distruttivo di queste tecnologie.

Rabah sottolinea inoltre che queste tecnologie sono state utilizzate per omicidi di massa, collegando questa pratica direttamente alla situazione attuale in Palestina. Egli afferma che le piattaforme digitali vengono utilizzate per identificare e sterminare persone su larga scala, definendo questa pratica come una nuova forma di genocidio. Secondo lui, tale pratica è paragonabile alle atrocità commesse durante il regime nazista: “Israele e gli Stati Uniti stanno utilizzando la tecnologia, inclusa quella che usiamo quotidianamente, per sterminare persone”.

Il presidente della Fepal sottolinea inoltre l’urgenza di condannare l’uso di queste tecnologie per interferire con la sovranità dei paesi. Egli fa appello alla comunità internazionale affinché adotti una posizione ferma contro quella che descrive come una “strage tecnologica”. Con le sue parole: “Dobbiamo ripudiare l’uso improprio della tecnologia per la strage, per l’interferenza e per la distruzione della sovranità dei paesi, dei popoli e delle nazioni”.

Rabah evidenzia infine l’importanza della solidarietà al popolo libanese, che, secondo lui, è stato preso di mira da questi nuovi tipi di attacchi. Egli sottolinea la necessità di esprimere “solidarietà al popolo libanese, ai suoi governanti, alla sua società e alla comunità libanese in Brasile”. Per Rabah, il sostegno internazionale è cruciale per affrontare ciò che definisce “genocidio televisivo”, paragonando la situazione in Medio Oriente a momenti devastanti della storia, come i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki.

La dichiarazione di Ualid Rabah non è isolata e riflette una crescente preoccupazione a livello globale. L’uso indiscriminato della tecnologia nei conflitti armati e la crescente militarizzazione dei dispositivi di uso quotidiano suggeriscono che stiamo entrando in una nuova era di guerre tecnologiche, le cui conseguenze potrebbero essere catastrofiche se la comunità internazionale non agisse prontamente.