Esteri
Cronaca delle proteste in Francia contro la riforma dell’ordinamento pensionistico
Quando la Francia sciopera, sciopera davvero.
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Di Benedetta Piola Caselli
Quando la Francia sciopera, sciopera davvero.
E’ questo il caso delle manifestazioni che si susseguono ormai da settimane, bloccando tutto: quella di oggi, martedì 7 marzo, porta in piazza 700.000 persone a Parigi e tre milioni e mezzo in totale, secondo la CGT, la Confédération Général du Travail, con 200 azioni in tutte le città.
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Oggetto principale della protesta, l’articolo 7 della nuova legge sull’ordinamento pensionistico, che passa a 64 anni da 62 l’età pensionabile, ed è da oggi in discussione al Senato.
Marciando in corteo, noi italiani sentiamo un po’ di disagio: è non tanto perché andare in pensione a 64 anni sembra un miraggio per chi ci va a 67, ma perché ricordiamo che, quando toccò a noi, scioperare non servì a nulla: la riforma passò, ed il trauma fu presto superato.
Sarà lo stesso per la Francia?
La protesta francese ha qualcosa di particolare rispetto a quella italiana.
Certamente appare più gioiosa, più trasversale e, nonostante il dispiegamento di forze di polizia degno di una sommossa anni settanta, in piazza si canta e si balla. E’ una militanza più trasversale e meno austera: accanto ai lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato – quelli che ci si aspetterebbe – con le varie rappresentanze sindacali, è tutto un fiorire di collettivi femministi, gruppi trans-gender che rivendicano la loro specificità, rappresentanti dei diritti civili di ogni tipo, studenti, mamme che fanno le casalinghe, papà che fanno i casalinghi, pensionati, disoccupati da sempre, liberi professionisti.
Ciascuno ha la sua ragione per scendere in piazza.
Heleni, giurista cipriota, spiega il lato pratico: « Lavoro in Francia da 12 anni e non avrò mai una pensione piena, perché il mercato del lavoro è frammentato. E’ raro avere un percorso professionale continuativo, mentre è facile entrare ed uscire in diversi contratti a tempo: questa è una scelta precisa del sistema economico neo-liberale, ma significa anche che gli anni passano, ed è sempre più difficile mettere insieme i contributi necessari per poter avere una sicurezza economica nella terza età ».
Noi italiani dovremmo essere particolarmente sensibili a questo argomento visto che – a differenza dei francesi – non solo abbiamo un percorso professionale frammentato, ma anche spesso « in nero » e quindi senza maturazione di contributi; eppure (inutile negarlo) le politiche di emersione hanno trovato un’opposizione spesso trasversale tanto del lavoratore che del datore di lavoro.
Pierre, che asfalta strade, mi spiega invece che questa è una riforma che tradisce le conquiste operaie del dopoguerra, sfavorendo chi fa lavori usuranti e favorendo chi si immette nel mercato del lavoro con un titolo di studio in mano, giovane, pronto ad avere un impiego che gli interessa e che non vorrebbe comunque lasciare « come i manager ». In altre parole, quella delle pensioni è una riforma di classe, concepita da chi ama il suo lavoro e non comprende la fatica di alzarsi ogni giorno controvoglia per portare il pane in tavola; anche questo argomento ci è noto, come quello di Juliette, che è in piazza per mostrare solidarietà.
« Ho beneficiato del pensionamento a sessant’anni poi aumentato a sessantadue. Mi sembra impossibile che oggi si arrivi a sessantaquattro. Come fa un’insegnante a reggere una classe di adolescenti che potrebbero essere i suoi nipoti? Non è neanche una questione di energia, è proprio l’elasticità mentale che viene a mancare. Ogni età ha il suo ruolo, e quello degli anziani non è il lavoro ».
Sembrerebbe dunque che non ci sia niente di nuovo sotto il sole – In Italia ci siamo ripetuti le stesse cose negli stessi modi : il sessantacinquenne di oggi vale cinquantacinquenne degli anni sessanta; si è allungata la vita media e le condizioni di tutti sono migliorate; oggi è considerata « usurante » una condizione lavorativa che, cinquant’anni fa, non lo era; comunque, il sistema pensionistico, così com’è, è economicamente insostenibile.
La differenza è che, in Francia, questo tipo di risposte suscita indignazione.
Infatti, tutte le categorie coinvolte ritengono che questi argomenti siano perfettamente validi, e però, molto semplicemente, non debbano essere condivisi.
« La vera questione in gioco » spiega Mehdi, studente a EHESS e quindi in una scuola di élite « è il tipo di società che vogliamo. La questione delle pensioni riflette perfettamente il problema della redistribuzione delle risorse, della individuazione delle priorità. Individuare le priorità: una volta fatto quello, le risorse si trovano ».
La questione delle pensioni è quindi simbolica, rectius: strumentale, ad uno scontro sulla visione della società e del mondo.
Deve essere chiaro quello che si vuole e quello che non si vuole; la dialettica democratica si gioca in prima battuta nelle piazze e poi, per riflesso, in parlamento.
In un’epoca in cui, da noi in Italia, tutto si confonde e la sinistra ha perso identità e priorità, questo ritorno al cristallino quasi sconvolge.
Qui invece è esplicito e banale, è il collante di tutta la manifestazione e la ragione per cui i lavoratori indipendenti sfilano accanto a quelli dipendenti, le femministe accanto agli operai : in gioco c’è il rischio che la Francia perda la sua caratteristica di paese dei diritti e dello stato sociale; cosa che, effettivamente, sta succedendo con la stessa velocità con cui Parigi si trasforma da capitale della cultura a capitale dello shopping giapponese.
La Francia ci re-insegna la sinistra.
Ma è veramente possibile che il governo ritiri la riforma delle pensioni? E’ realistica la pretesa?
« La possibilità dello sciopero generale prolungato non è esclusa dal tavolo, si lavora in quel senso » mi dice una rappresentante della CGT, ma non manca chi è scettico: « Questi movimenti di piazza sono ciclici, sono degli sfoghi alla tensione sociale che vediamo tutti gli inverni. Io li ritengo molto utili a mantenere l’ordine, ma non credo siano incisivi: passerà la riforma e passerà questa voglia di protestare » mi dice Jean Paul, che incontro in altro contesto, che nel frattempo mi consiglia di leggere Charles de Gaulle « per capire davvero la Francia ».
Secondo Jean Paul è inutile resistere a dei trend globali, quali quelli del neoliberismo, se coinvolgono tutta l’area europea.
Suo figlio protesta, pronto ad unirsi al corteo; sembrerebbe un déjà vu generazionale, se il nonno non raggiungesse il nipote. Forse è un déjà vu generazionale ma, in questa forma, è molto più simpatico.
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