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Scuola

L’ipocrisia della semantica

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di MARIANNA STURBA

Siamo di fronte ad indignazioni ipocrite. Siamo dinanzi alla paura delle parole, perché le parole possono essere pietra da cui è difficile proteggersi.


Prima si chiede alle scuole di fare un’analisi socio economica dell’utenza che afferisce alla scuola, il Rav, che è un documento di autovalutazione attraverso il quale la Scuola chiarisce a sé stessa e all’utenza le proprie potenzialità e i propri limiti; poi si urla allo scandalo.

Trovo inadeguata l’analisi del problema, ciò che andrebbe detto, è che mistificare la realtà con parole più digeribili, non cambia la sostanza dell’analisi. Non bisogna avere una pudicizia narrativa che non cambia la realtà culturale. Dire che in una scuola sono presenti i figli dei ricchi e i figli di chi lavora per loro non ha nulla di discriminatorio, dire che in un plesso centrale la realtà socio economica rappresentata è di un ceto facoltoso e che in un plesso meno centrale invece il livello economico degli utenti è meno alto, non ha nulla di scandaloso, è solo la verità.

La Scuola resta ancora l’unico ascensore sociale, l’unico luogo dove essere figlio del padrone o dell’inserviente non altera la proposta formativa, non cambia le carte in tavola, non pregiudica la riuscita.
Dovremmo invece sostenere queste scuole che sono circondate da scuole private che raccolgono veramente la divisione sociale fra ricchi e poveri, fra padroni e dipendenti; scuole che anche grazie ai finanziamenti pubblici, riescono a dare un’offerta formativa migliore, e che “gareggiano” con le scuole pubbliche sempre meno competitive e sempre meno all’altezza delle nuove sfide perché prive di mezzi.

Allora non dobbiamo avere paura di chiamare le cose con il proprio nome, non dobbiamo censurare la realtà. Il rav va obbligatoriamente redatto e pubblicato, l’attenzione alle parole è gradita e credo al centro di chiunque abbia questo incarico, il modo di raccontare la stratificazione sociale in atto non potrà mai essere piacevole da leggere. Ma è la realtà. O pensiamo che nella scuola del quartiere nel centro di Roma troverò la stessa popolazione che censirò nella scuola di periferia ? E ciò che trovo a Roma sarà la stessa cosa che narrerò in una scuola in provincia?

No, sicuramente no, allora il punto di partenza sia proprio questo : leggiamo i Rav delle varie scuole, paragoniamo i contesti sociali e cominciamo a rispondere adeguatamente ai bisogni locali. Ascoltiamo davvero la scuola che si narra, ascoltiamo le problematiche diverse, profondamente diverse, e da lì iniziamo a rispondere con strategie mirate, diversificate così da dare vere risposte alle criticità. Si cominci dal Ministero, si inizi proprio da lì… Si offra formazione mirata agli insegnanti in funzione delle realtà in cui si opera, si offrano ai dirigenti strumenti diversificati in base alle criticità evidenziate.
Scandalizziamoci davvero della realtà che la scuola vive ed affronta da sola, non nascondiamoci dietro un lessico forse non delicato ma estremamente vero anzi drammaticamente vero.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo