Inchiesta
SIMONETTA CESARONI: E SE AVESSIMO SBAGLIATO TUTTO?
Il cold case per eccellenza. Dopo trentadue anni e dopo un processo, sembra difficile poter trovare nuovi elementi. Elementi decisivi. Rimane doveroso, però, ogni tentativo di rendere giustizia a Simonetta Cesaroni.
Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Riaperte le indagini sull’omicidio di Simonetta Cesaroni. Uccisa in via Poma a Roma il 7 agosto 1990.
La Procura della Repubblica di Roma rilegge le carte, ascolta testimoni.
Anche giornalisti ed esperti di criminologia tornano ad occuparsi del caso.
Il cold case per eccellenza. Dopo trentadue anni e dopo un processo, sembra difficile poter trovare nuovi elementi. Elementi decisivi. Rimane doveroso, però, ogni tentativo di rendere giustizia a Simonetta Cesaroni.
Lasceremo le discussioni sul dna e sui gruppi sanguigni agli esperti. Possiamo però concentrarci su due punti cruciali della vicenda. Che potrebbero portare alla soluzione del mistero di via Poma.
Il movente e la telefonata delle 17:15.
La componente sessuale nel movente dell’omicidio è stata sempre considerata accertata e sicura. Del resto, la posizione del corpo non lascia dubbi. Quasi completamente nuda, gambe divaricate, ferite in prossimità del seno e della vagina. Da manuale. Forse anche troppo.
Il corpo viene trovato nell’ufficio del responsabile regionale dell’AIAG. Nell’ufficio “del capo”. Ufficio dove Simonetta non aveva motivo di trovarsi. Perché lascia la stanza dove stava lavorando al computer? Era stata “convocata”?
La telefonata delle 17:15 è decisiva. Una donna che dice di essere Simonetta Cesaroni telefona all’impiegata AIAG Luigina Berrettini che aveva la scrivania nella stessa stanza dove lavorava la vittima. Simonetta chiede delle informazioni per il corretto inserimento dei dati contabili nel computer. Che la Berrettini non può fornire e telefona ad Anita Baldi responsabile amministrativa AIAG. La Baldi fornisce alla Berettini le informazioni richieste. La Berrettini chiama Simonetta e fornisce le istruzioni dettate dalla Baldi. Dopo qualche minuto, la Baldi telefona alla Berrettini per verificare se il problema è stato risolto.
Secondo alcuni non è stata Simonetta a telefonare. Possibile ma oggettivamente i documenti su cui stava lavorando la Cesaroni e i dati inseriti nel computer sono compatibili con l’oggetto della telefonata. Ammettiamo quindi che sia stata la vittima a telefonare.
Perché chiama la Berrettini che non ha mai visto e che non ha competenze specifiche nella contabilità? Come nasce questa “confidenza” con la Berrettini che ha dichiarato di non aver mai visto Simonetta? Perché non telefonare direttamente alla Baldi o a Menicocci che l’aveva affiancata per settimane come tutor? Temeva forse di essere rimproverata per non aver appreso correttamente le procedure dopo settimane di pratica?
Inoltre, perché la Baldi non chiama direttamente Simonetta? Era la cosa più pratica e più logica.
Altrettanto logico pensare di inviare qualcuno in via Poma per verificare come procedeva il lavoro e affiancare Simonetta per risolvere il problema. Era l’ultimo giorno di lavoro ed erano procedure delicate. I conti dovevano essere in ordine.
Possibile che qualcuno dell’AIAG sia andato in via Poma a seguito della telefonata alla Berrettini? Un qualcuno che poi convoca Simonetta nell’ufficio del “capo”.
Inizia una discussione che non è legata ad un movente sessuale. Almeno non inizialmente. La sorella di Simonetta dichiara di aver visto la schermata del computer e l’inserimento dei dati non era stato completato. La discussione è legata ai problemi con l’inserimento della contabilità?
La componente sessuale potrebbe essere secondaria. Legata alla necessità di umiliare la vittima o addirittura per depistare. Ovviamente parliamo di ipotesi.
Leggendo gli atti, però, resta la forte sensazione che qualcuno dell’AIAG abbia raggiunto Simonetta dopo la telefonata delle 17.15.
Una telefonata che non ha salvato la vita a Simonetta ma che è la via per raggiungere la verità.
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