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Cronaca

Caterina Skerl, la cronaca nera e l’Ispettore Coliandro

Caterina Skerl, quarant’anni in attesa di giustizia

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Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Caterina Skerl è un personaggio drammaticamente reale. Ritrovata cadavere, a 17 anni, il 22 gennaio 1984. Il suo assassino è, per ora, senza volto.

Coliandro invece non è un personaggio reale. Nato dalla mente di Carlo Lucarelli. Investigatore pasticcione e molto imperfetto che arriva, suo malgrado, sempre alla verità.

Allora perché questo accostamento “blasfemo” ? In realtà di piste e personaggi fantasiosi accostati alla vicenda di Caterina Skerl ne abbiamo una vagonata. Uccisa perché legata ad uno scontro interno al Vaticano. Uccisa per una presunta pista legata al padre che faceva film tra l’erotico e l’horror. Forse uccisa perché aveva un rapporto affettivo con il parente di un noto criminale e voleva contrastare le loro attività criminali.Forse un maniaco predatore. Tanti forse, alcuni legittimi altri appunto fantasiosi.

In più nella vicenda Skerl entra Marco Accetti.

Quanti film e personaggi da film.

Detto ciò in questa drammatica e reale vicenda ha un posto di diritto anche l’Ispettore Coliandro.

Di cui andrebbe copiato lo stile. Lui non ha ipotesi sul caso e quando le ha sono sempre sbagliate. Non usa il computer e non è capace di fare ricerche. Non è mai in ufficio. Semplicemente lui si lascia trascinare dalla vicenda.

Ripercorre i passi della vittima, vive i suoi ambienti. Ascolta, a volte in maniera maldestra e molesta, le persone attorno alla vittima. Quasi sempre risolve il caso inciampando casualmente nella verità. Perché non molla mai e perché il suo essere maldestro gli impone l’umiltà che non gli appartiene ma che è indispensabile per trovare la verità. Testardo, onesto e imperfetto.

Nel caso di Caterina Skerl avrebbe percorso allo sfinimento il triangolo composto dal punto A via Isidoro del Lungo dove viveva e Largo Bacone dove viene vista l’ultima volta nel tardo pomeriggio del 21 gennaio 1984; punto B fermata metro A Lucio Sestio dove era diretta e dove era attesa da una sua amica e punto C la vigna di Grottaferrata dove viene trovata cadavere.

Si sarebbe concentrato sulle migliori amiche della vittima perché è l’età in cui ci si confida esclusivamente con le amiche. Avrebbe verificato se il giorno prima di morire Caterina era già stata nella zona di Lucio Sestio.

Sarebbe arrivato anche lui alla conclusione che probabilmente il delitto nasce nelle dinamiche relazionali che Caterina aveva nella zona Lucio Sestio. Che poteva aver concordato un passaggio con l’assassino. Forse anche 24 ore prima.

Anche il buon Coliandro avrebbe capito che l’assassino ha sicuramente un buco nell’alibi di minimo trenta minuti. Molto di più, sulle tre ore minimo, se era andato a prendere Caterina in Largo Bacone. Come ‘è riuscito per tutti questi anni a nascondere un così consistente buco orario?

Non era nella lista dei sospettati o non sono stati calcolati bene i tempi e qualcuno ha mentito.

Capito questo allora Coliandro avrebbe macinato ancora km. Suonato decine di volte ai campanelli delle persone coinvolte. Sbattendo alla fine contro la verità.

Coliandro non esiste ma ciò che lui non può fare possiamo farlo noi. Noi inteso come operatori dell’informazione. Partendo da fatti certi. Dalle carte processuali. Perché altrimenti rischiamo di costruire ipotesi imperfette. Soprattutto senza innamorarci delle nostre ipotesi. Non dobbiamo scrivere un finale. Già è scritto. Dobbiamo solo trovare la pagina giusta.

Gli operatori dell’informazione non sono poliziotti ma possono anzi devono fare investigazioni. Con i limiti deontologici e imposti dalla legge. “Telefono Giallo”, “Blu Notte”, “Chi l’ha Visto?”, sono esempi da seguire. E se non possiamo seguire esempi così impegnativi abbiamo il metodo Coliandro.

Allora facciamo la stessa strada di Caterina Skerl. Vivendo in loop quelle 48 ore dal 20 gennaio 1984 al 22 gennaio fino ad inciampare nella verità. Perché l’assassino non può nascondere per sempre il buco nel suo alibi. Perché sono passati 40 anni.

Soprattutto, come direbbe Coliandro, perché questo non è un film e non è il caso di farci altri film. Questa è la vita. O meglio una brutta storia di morte.

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