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Cronaca

Violenza sulle donne? Non è per tutti la stessa cosa

Se da un lato non esiste dubbio alcuno sul fatto che uno schiaffo faccia male, soprattutto allo sviluppo della personalità soggettiva e sia pertanto da respingere come “segno” del proprio linguaggio, dall’altro nessuno di noi sviluppa da solo il proprio sistema di valori, ma aderisce o no invece a qualcosa con cui sempre si relaziona e del quale non può considerarsi responsabile.

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Che in quanto esseri umani siamo permeabili a tutto è cosa nota e non è mia intenzione farne oggetto addirittura di un  articolo. Infondo anche ciò di cui intendo scrivere è noto alla maggior parte di noi. La ragione però per la quale desidero occuparmene attiene probabilmente ad un’occasione che deriva dal mio personale vissuto al quale come tutti, senza eccezioni, sono sentimentalmente legata per questioni identitarie nonché, di timore della morte e del conseguente attaccamento alla vita, (appunto la mia). 

Mi asterro`per quanto possibile dal tediare chi legge con la narrazione pedissequa dei fatti che hanno portato alle banali riflessioni che seguono, sebbene qualche elemento che consenta a chi legge di comprendere devo darlo. 

Qualche tempo fa mi è capitato di assistere ad una lite non lontano da casa di mia madre, sfociata  in percosse, conclusasi con il ricovero di una donna e la denuncia del di lei marito in quanto autore delle violenze dalla donna subite. La situazione familiare penosa che si trascinava da anni ha fatto sì che decidessi di non trattenermi oltre in quel luogo, esercitando una sorta di difesa contro ciò che sembrava impossibile cambiare, ma una  vicina riconoscendomi mi ha raggiunto per manifestarmi che l’accaduto a suo avviso, non era poi così preoccupante, visto che il marito della ricoverata era cambiato ed il fatto in oggetto era pertanto da considerarsi ormai avvenimento del tutto eccezionale. 

Va chiarito che questa conoscente vive una condizione non dissimile e che suo marito è in questo momento  detenuto per reati gravi in un carcere della provincia barese.

Mi sono domandata come mai per quella donna, i fatti che avevano portato ad una misura detentiva apparissero tutto sommato come  normali. Qualcuno, anzi chiunque con una rapida associazione, avrebbe pensato che per la signora erano condizioni ordinarie perché rappresentavano la medesima quotidianità esistenziale nella quale lei stessa viveva e che aveva imparato a considerare tollerabili. 

Io invece percorrendo sentieri tortuosi, ho cercato di scandagliare tra le notizie che di lei avevo, per giungere infondo a risultati non molto diversi da quelli a cui giungerebbe chiunque…con la sola differenza di averci impiegato più tempo. 

Sono partita da ciò che della vicina mi era noto e cioè la frequentazione con un mondo che pensa all’esercizio di reati anche gravi come un fatto possibile, consuetudinario e nel quale la lesione del diritto altrui, per il solo fatto di essere capaci di violare le leggi dello stato, non deve apparire cosa troppo grave. Poi però, non ho potuto non pensare a quanto ciò che siamo sia fluido, privo di argini, se non quelli che l’esistenza che ci è toccata di vivere e che dunque non abbiamo scelto, ci impone. È con questo infatti che relazionandoci ogni giorno, impariamo a sviluppare le idee ed a misurarci, stabilendo la nostra collocazione e scegliendo il copione tra quelli che ci si parano dinanzi, perché se in astratto tutto è sempre possibile, in concreto nella maggior parte delle volte a verificarsi è solo ciò che più è prevedibile. 

La mia vicina sa esprimere un giudizio su ciò che conosce, non può farlo su ciò che non le è noto, nessuno di noi potrebbe. I suoi giudizi, anche morali, dipendono da questo e ci raccontano quasi tutto della vita di chi li esprime. Tale fatto sposta poi l’accento su un’altra questione e cioè su quanto la morale altrui o meglio colui che in una certa morale pone il fondamento delle sue azioni, possa condannarsi o meno. 

Perché se da un lato non esiste dubbio alcuno sul fatto che uno schiaffo faccia male, soprattutto allo sviluppo della personalità soggettiva e sia pertanto da respingere come “segno” del proprio linguaggio, dall’altro nessuno di noi sviluppa da solo il proprio sistema di valori, ma aderisce o no invece a qualcosa con cui sempre si relaziona e del quale non può considerarsi responsabile. Questa lettura che in apparenza sembra sollevare l’individuo da qualunque responsabilità relativa agli atti che si trova a compiere ed alle decisioni che prende, in realtà intende solo sottolineare che la vita di ciascuno di noi è cosa estremamente complessa da giudicare perché problematico è il non trascurabile fatto che miriadi sono i punti di vista di cui ci si può servire, ma anche che infiniti sono gli elementi di consapevole ed inconsapevole responsabilità che si mescolano continuamente in ciò che siamo, che sono imprevedibili e che, sfuggendo ad ogni forma di controllo rappresentano l’essenza ultima, forse più autentica della vita umana.

Rosamaria Fumarola

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano