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Mario Roggero e l’eredità di Cesare Beccaria

Non guardiamo agli Stati Uniti. Nel 1764 avevamo già un Cesare Beccaria che scriveva “perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi”.

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Credit foto https://twitter.com/RaiLibri/status/1371389029766340608

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Mario Roggero, gioielliere, condannato in primo grado a 17 anni di reclusione per aver ucciso due rapinatori e ferito un terzo.

Una tragica notizia che ha diviso, come e più di sempre, il nostro Paese.

Per molti Mario Roggero è un eroe da premiare. Altro che condanna. Un gioielliere che aveva già subito delle rapine. Con danni fisici e patrimoniali.

Roggero il 28 aprile 2021 subisce l’ennesima rapina. Tre rapinatori legano la moglie e la figlia. Dopo aver razziato  preziosi per 70000 euro escono dalla gioielleria per fuggire in auto. Mario Roggero esce in strada armato di pistola. Insegue i rapinatori. Non si limita a questo. Spara. Uccide. Sparando anche alla spalle. Colpisce con un calcio alla testa uno dei rapinatori ferito gravemente.

Per molti, tra cui il ministro Salvini, questa sarebbe legittima difesa. Per la Corte d’Assise no.

Probabilmente Roggero in Appello avrà uno sconto di pena. Risulta, però, difficile parlare di legittima difesa.

Mario Roggero più che spaventato appare arrabbiato. Per l’ennesima rapina. Per l’ennesimo danno economico. Corre in strada per punire e riavere i suoi gioielli.

Certamente i cittadini non sono protetti dallo Stato. Un commerciante rischia la rovina a causa di una rapina.

Tutto giusto. Resta una domanda. Quanto vale la vita di un delinquente? Per molti venire uccisi mentre si compie una rapina è un rischio del mestiere. Un modo molto cinico per risolvere una questione morale e giuridica complessa.

Se un rapinatore rimane ucciso per la legittima difesa ad un suo attacco violento è una cosa. Ma sparare ad un rapinatore che fugge non può essere giustificato. Soprattutto moralmente.

Il nostro Paese ripudia la pena di morte. Il privato cittadino non può sostituirsi allo Stato.

L’Italia è una nazione a maggioranza cattolica. Il nessuno tocchi Caino dovrebbe essere un principio fondamentale.

Il 23 novembre scorso è diventata definitiva la condanna ad 11 anni per l’avvocato di Latina Francesco Palumbo. Il 15 ottobre 2017 Palumbo riceve un messaggio dal sistema d’allarme che segnala un furto in atto presso l’abitazione dei genitori.

Palumbo non chiama la Polizia, prende la pistola e corre a casa dei genitori. Arriva e vede uno dei ladri scendere da una scala appoggiata la balcone dell’abitazione. Palumbo spara tre colpi alle spalle dell’uomo. Tre colpi mortali.

Anche in questo caso i giudici hanno ritenuto che non era legittima difesa.

La disciplina normativa è cambiata dal 2019. Rimane saldo un principio. La legittima difesa non consente la vendetta.

Quando un rapinatore fugge viene meno la legittima difesa.

Prende piede, pericolosamente, l’idea che uccidere per difendere i propri beni materiali è legittimo a prescindere. Non può essere così.

Non guardiamo agli Stati Uniti. Nel 1764 avevamo già un Cesare Beccaria che scriveva “perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi”.

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