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Trattativa Stato-mafia: tutti assolti
La Cassazione annulla la sentenza di appello senza rinvio: non ci sarà alcun nuovo processo né per gli ufficiali dei ROS né per gli uomini appartenenti agli organi delle istituzioni. Evidentemente per qualcuno è andata a buon fine.
di Alessandro Andrea Argeri
Nessuna condanna né per i mafiosi né per gli uomini delle istituzioni coinvolti nella trattativa Stato-mafia. La decisione è arrivata il 28 aprile 2022 da parte dei giudici della Cassazione. Una sentenza molto simile a un tentativo di occultare davanti all’opinione pubblica, soprattutto alle nuove generazioni, una stagione di stragi, nonché la pagina più nera della storia recente italiana. Così la violenza a un corpo politico dello Stato è stata ridotta a un “tentativo”, come se non si fosse concretizzata nelle innumerevoli morti.
Ribaltata anche la sentenza del precedente processo, in cui l’esistenza della trattativa veniva confermata sebbene non fosse stata definita un reato. Già allora le critiche furono molte. Ebbene ora con la sentenza definitiva Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno vengono assolti “per non aver commesso il fatto”, mentre i boss di Cosa Nostra sono stati dichiarati prescritti. Dunque non è un crimine trattare con Cosa Nostra mentre tre governi vengono intimiditi a suon di stragi.
Nessuna sentenza però potrà mai cancellare gli avvenimenti reali. La trattativa è esistita, principalmente perché è stata raccontata nei minimi dettagli da chi l’ha intavolata, vedasi le intercettazioni a Riina, ai fratelli Graviano, o le dirette confessioni di Giovanni Brusca assieme a molti altri collaboratori di giustizia, dichiarazioni confermate dal generale Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno nel 1997 davanti alla Corte d’assise di Firenze. A nulla sono valse le dichiarazioni degli imputati, anni di indagini non hanno avuto alcun valore. Era evidente come lo Stato intendesse assolversi, d’altronde nessuno si condanna da solo. Tuttavia l’autoassoluzione non è condivisibile sia dal punto di vista morale sia sotto il profilo etico. L’ha detto anche Antonio Ingroia, ex pubblico ministero da cui partì l’inchiesta a Palermo: <<Era annunciato che lo Stato italiano intendesse auto assolversi, questa è una sentenza contraddittoria, perché ha acclarato che si tentò di sottoporre sotto minaccia lo Stato, che ci fu una trattativa, ma nessuno ne risponde. Né gli uomini dello Stato, né i mafiosi. Non è un bel segnale che lo Stato lancia ai cittadini>>
Sempre un altro grande magistrato, Paolo Borsellino, era solito incitare: <<Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene>>. Ebbene quale messaggio dà ora lo Stato a chi ogni giorno denuncia la mafia? Eppure l’attuale partito di maggioranza si definisce “erede di Falcone e Borsellino”. La stessa leader dell’attuale Governo, Giorgia Meloni, ha più volte affermato di essere entrata in politica dopo le stragi del ’94.
Paradossi. Come il passaggio in Forza Italia, lo stesso giorno in cui è arrivata l’assoluzione di Marcello dell’Utri, della deputata del Partito Democratico Chinnici, figlia di quel Rocco Chinnici, padre putativo del Pool Antimafia, per questo eliminato nel 1983 con 75 kg di esplosivo. Saranno coincidenze, sicuramente. Sarà, ma alla fine non si può non dare ragione a Marco Travaglio quando scrive: “Sta’ a vedere che, a doversi scusare per la trattativa Stato-mafia, non sono gli uomini dello Stato che l’hanno fatta e poi confessata, ma i magistrati che l’hanno scoperta e processata e i pochi giornalisti che l’hanno raccontata”.
La mafia prima o poi perderà, perché nessuno delle nuove generazioni la seguirà più. Oltretutto, come più volte ribadito dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro Nicola Gratteri, la criminalità organizzata non gira più con coppola e lupara, bensì investe in aziende, diventa imprenditrice in quanto si è inserita nel tessuto economico-sociale. Piuttosto il vero nemico da battere è la corruzione diffusa nei gangli dello Stato oltre che nello stesso sistema partitico, soprattutto a livello territoriale, dove la criminalità sembra essere più vicina ai cittadini rispetto alle istituzioni poiché i rappresentanti pubblici sono presenti sul territorio solo poco prima delle elezioni. Intanto i giudici Falcone e Borsellino, così come i tanti uccisi dalla mafia, sono stati assassinati ancora una volta, l’ennesima. Già, noi italiani, “brava gente”, siamo proprio un “belpaese”.
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