Agricoltura
Turi e la ciliegia della discordia.
A Turi, quest’anno per la raccolta delle ciliegie la presenza dei lavoratori stagionali è stata più numerosa del solito. Una situazione che ha generato non pochi momenti di tensione con la popolazione locale. Urge l’impegno istituzionale per assicurare ai lavoratori dignitose condizioni di lavoro e alloggio nel rispetto dei luoghi e delle regole.
DI NICO CATALANO
Credit foto: antonello_mangano license CC BY-NC-SA 2.0.
Da circa un decennio, a Turi si combatte una guerra tra poveri, uno di quei tanti conflitti sociali figli del nuovo millennio, uno scontro che in tanti conoscono ma di cui pochi parlano e cercano di fermare concretamente senza cadere nell’ovvio ideologico. Una guerra generata dalla rabbia scaturita dalle ragioni dei penultimi nell’indicare come causa dei loro malesseri economici e sociali, non quella globalizzazione senza etica e regole egemone del mondo, bensì gli ultimi della Terra. Tutto questo tra l’assenza voluta della politica che ha ormai delegato il potere decisionale ai salotti dell’economia, dedicandosi nella migliore delle ipotesi solo a rincorrere i problemi o peggio ancora ignorandone l’esistenza mettendo la testa nella sabbia. La conseguenza è che tutto ricade sulla pelle dei cittadini, dei lavoratori e sulle spalle delle amministrazioni locali. Turi, importante città agricola a sud est di Bari, è la capitale della ciliegia, con circa tremila ettari e una produzione di diverse centinaia di quintali l’anno di “oro rosso” esportata in tutt’Europa. Una ciliegia che purtroppo al contadino, viene pagata pochissimo, mediamente intorno all’euro al chilogrammo, una miseria rispetto ai prezzi di vendita al dettaglio di Milano o Roma pari anche a ben oltre i dieci euro al chilogrammo. Una distorsione commerciale, dovuta al predominio dei grandi gruppi multinazionali dell’agroalimentare, alla frammentazione fondiaria, all’incapacità dei produttori locali di associarsi e accorciare la filiera ma anche all’assenza di serie politiche strutturali per il settore. Così spesso il produttore, strozzato dai venti di crisi che stiamo attraversando, è costretto a comprimere i fattori della produzione, in primo luogo il fattore lavoro, ricorrendo alle varie forme di lavoro grigio, in un mercato del lavoro che è sempre più contrassegnato dalla presenza di lavoratori stranieri, senza dei quali oggi non potremmo più produrre le eccellenze che contraddistinguono il made in Italy compresa la ciliegia di Turi. A Turi, da circa una decina di anni i lavoratori non italiani impegnati nella raccolta delle ciliegie sono presenti tra la metà di maggio e la fine di giugno. Sono per lo più marocchini e tunisini ma anche algerini e senegalesi, lavorano nelle campagne turesi e dei paesi vicini, dalle quattro del mattino sino alle prime ore del pomeriggio. Gli abituali, da tempo risiedono in varie località italiane e durante l’estate si spostano da Turi a Nardò per la raccolta delle angurie sino a Palazzo San Gervasio per raccogliere i pomodori, sono quasi tutti provvisti di regolare contratto ma l’impossibilità o la non volontà dei datori di lavoro, spesso titolari di piccolissime aziende, di assicurare loro anche vitto e alloggio rende la permanenza precaria, una situazione che ha generato negli anni tensioni con la popolazione locale, contrasti resi sempre più evidenti anche per la presenza dell’accampamento selvaggio da parte di irregolari spesso sprovvisti di contratto e documenti. Così come ogni anno, anche per la campagna cerasicola 2022, l’amministrazione comunale, grazie ai fondi messi a disposizione della Regione Puglia, ha allestito un campo per accogliere i lavoratori regolari, con container per 18 docce e per 18 bagni, attacchi di acqua ed energia elettrica, tamponi costanti, coinvolgimento di medici volontari e un’area per la preghiera. Il tutto per circa 200 ospiti attesi. Stime che sono state smentite dai numeri reali: una presenza tra le 350 e 500 unità, di cui meno della metà ospite del campo, mentre il resto, molti dei quali non regolari accampati tra le auto, in tende da campeggio e sotto teloni all’esterno del campo, tra la spazzatura e nessuna precauzione sanitaria. Una situazione che quest’anno è diventata insostenibile, generata dalla crisi post pandemica che ha visto chiudere molte piccole fabbriche nel centro nord e conseguentemente riversare verso il settore primario la manodopera un tempo impiegata in queste attività. Una elevata offerta di lavoro che non è stata assorbita del tutto, sia per i bassissimi prezzi che hanno portato i produttori a non assumere e spesso anche a non raccogliere le ciliegie dalle piante. Un sovraffollamento che ha generato non pochi contrasti con la popolazione locale, una comunità quella turese accogliente e generosa ma evidentemente non pronta a gestire un tale numero di presenze concentrate in un limitatissimo periodo di tempo. La presenza dei lavoratori stranieri a Turi è diversa da quella di Borgo Mezzanone così come dalla povera gente che sbarca a Lampedusa. I lavoratori di Turi chiedono solo condizioni lavorative e di alloggio dignitose per un limitato periodo di tempo, quantificato nel mese della campagna cerasicola. Urge senso di responsabilità da parte di tutti i protagonisti istituzionali: Regione, Amministrazione locale, Sindaci dei comuni interessati dalla presenza dei lavoratori, sindacati di categoria e dei lavoratori. Bisogna mettere da parte le divisioni e le polemiche, per impegnarsi nell’uscire finalmente dall’attuale logica frammentaria e emergenziale per costruire una strategia di sistema nel rispetto delle regole, di lavoratori, luoghi e cittadinanza.