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Agricoltura

L’Italia è un Paese fragile dal punto di vista dell’autosufficienza alimentare.

Il conflitto in Ucraina, sta mettendo a nudo la non autosufficienza alimentare italiana. Scelte sbagliate di politica agricola effettuate in passato, hanno reso il nostro Paese dipendente dall’estero. Le mancate importazioni, dovute agli eventi bellici sono la causa delle difficoltà di approvvigionamento e dell’aumento di prezzi dei generi alimentari. L’ UE ha avviato, un programma per l’Italia, che prevede il ritorno della cerealicoltura in oltre 200 mila ettari, al fine di ridurre la dipendenza estera.

nico catalano

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DI NICO CATALANO

Credit foto: preetamrai license CC BY 2.0.

Il tremendo conflitto armato che sta devastando l’Ucraina, ha fatto emergere l’estrema fragilità dell’Italia, nel soddisfare il fabbisogno interno sia energetico che alimentare. Se per quanto riguarda l’ambito energetico la diffusa presenza di una infantile sindrome di Nimby e l’enorme ritardo nell’utilizzo delle fonti energetiche alternative da parte dei vari governi che si sono alternati, hanno favorito la dipendenza italiana dall’estero, diverso invece è quanto accaduto nel settore alimentare. Negli ultimi tre decenni, politiche comunitarie sbagliate associate agli eccessivi costi di coltivazione, compensati da bassissimi prezzi di vendita dei raccolti, hanno progressivamente ridotto le superfici coltivate a grano e cereali vari. Regioni geografiche, come la pianura Padana, la Sicilia, il tavoliere delle Puglie, un tempo conosciute come granai d’Italia e della stessa Europa, hanno visto retrocedere le loro superfici cerealicole. Una riduzione di ettari e quintali prodotti, causata principalmente all’insostenibilità economica, che ha reso non conveniente l’attività cerealicola, così come dalla miopia di molte imprese nostrane che hanno preferito comprare cereali sul mercato internazionale e in ultimo come conseguenza dei premi in denaro concessi dalla UE ai produttori italiani per non coltivare i loro terreni. Secondo i dati Istat, nel 2020 le superfici a mais del nostro Paese, si sono ridotte di oltre il 30 per cento rispetto al 2010, mentre è scomparso un campo di grano su cinque, con circa mezzo milione di ettari coltivati a frumento in meno rispetto a quelli presenti dieci anni fa. Tutto questo, ha portato nel tempo ad una sempre più marcata dipendenza dall’estero di grano e altri cereali da parte dell’industria molitoria italiana, al fine di soddisfare il crescente fabbisogno interno di pane, pasta, biscotti e prodotti sfarinati vari. Un fabbisogno che da alcuni decenni, viene soddisfatto grazie all’importazione di grani esteri, provenienti sia da Canada, Australia, Messico, che in parte preponderante dalle zone interessate dal conflitto in atto nell’Est Europa. Eventi bellici, che non garantendo più queste importazioni, costringono oggi il nostro Paese, ad attivare nuove strategie di politica agricola, per soddisfare i suoi fabbisogni alimentari primari, ma anche per ridurre quella clamorosa l’impennata dei prezzi di materie agricole prime e di prodotti, che sta imperversando in questi ultimi giorni, grazie anche a non poche speculazioni, sia sui produttori che sui consumatori italiani.  Proprio nei giorni scorsi l’Unione Europea, ha dato il via libera alla semina e coltivazione in Italia di oltre 200 mila ettari di suolo, destinati per ottenere una produzione aggiuntiva di circa 15 milioni di quintali di: mais da destinare agli allevamenti, grano duro per la pasta e frumento tenero per la panificazione. La decisone della Commissione Europea, rientra in una vasta gamma di misure UE, che vedranno nei prossimi mesi, il ritorno della messa in coltura di oltre quattro milioni di ettari in tutta Europa. Un’azione politica necessaria al fine di ridurre la dipendenza dalle importazioni dei principali fattori della produzione e prodotti agricoli, che sta mettendo in difficoltà la capacità di approvvigionamento sia in Italia così come in tutta l’Europa. Auspichiamo, che questa emergenza sia da insegnamento a chi governa la politica agricola continentale nel non ripetere in futuro gli errori commessi. Così come, ci auguriamo che proprio in vista di un ritorno alla messa in coltivazione di una quantità enorme di suolo, si favorisca nel nostro Paese, la semina delle varietà antiche di grano e mais, concretizzando nei fatti le politiche Europee volte al ripristino, tutela e valorizzazione della biodiversità.

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Agronomo, ricercatore ecologista, divulgatore e saggista