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26 Ottobre 2025

Unabomber: L’Incubo irrisolto del Nord-Est e l’ombra di una complice

Analisi del caso irrisolto di Unabomber italiano (1993-2006): dalla cabina di Portovecchio all’uso della nitroglicerina. Emerge l’ipotesi di una complice donna.

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Di Pierdomenico Corte Ruggiero

L’Unabomber italiano. Questo nome evoca un incubo che ha terrorizzato il Nord-Est d’Italia, colpendo con tubi bomba e trappole esplosive tra il 1993 e il 2006, sebbene alcune fonti suggeriscano un’attività già a partire dal 1988.

Questa vicenda ha seminato feriti, terrore e ha lasciato dietro di sé ombre senza volto, rimanendo ad oggi un caso irrisolto dopo i recenti risultati, negativi, della comparazione del DNA. Con la prescrizione dei reati, l’impunità è stata garantita per quasi tutti i crimini commessi dal o dagli Unabomber.

È una storia complessa, ma in questa sede ci concentreremo su tre aspetti fondamentali: l’evento scatenante, la fase di cambiamento del modus operandi e l’ipotesi di un coinvolgimento femminile.


L’Evento Zero: quella cabina telefonica di Portovecchio

Mercoledì 8 dicembre 1993, Portovecchio di Portogruaro. È il giorno di festa dell’Immacolata Concezione, e la serenità viene squarciata da un’esplosione. Un tubo bomba danneggia gravemente una cabina telefonica. Inizialmente catalogato come semplice vandalismo, l’episodio ha assunto un significato più sinistro una volta che il modus operandi di Unabomber è stato codificato.

La cabina telefonica di Portovecchio si trovava a pochissima distanza da una scuola, un supermercato e una chiesa. Tre luoghi che, tragicamente, sono strettamente legati alle future azioni di Unabomber, che colpirà bambini, chiese e supermercati.

È possibile, quindi, che Portovecchio di Portogruaro sia legato all’evento zero che ha scatenato la violenza sadica dell’attentatore?

La cabina, come le altre che Unabomber colpirà, era solo un bersaglio facile o nascondeva un valore simbolico legato all’evento scatenante? Forse una brutta notizia appresa in quel luogo?


La rabbia contro la felicità altrui

L’ipotesi è che la notizia sia stata appresa mentre il mondo circostante continuava, insopportabilmente, a essere sereno: i bambini felici a scuola, le compere spensierate al supermercato, e le persone che si recavano in chiesa da un Dio che all’attentatore aveva negato aiuto.

Oggettivamente, Unabomber non sopporta i giorni di festa, la serenità altrui e i luoghi di culto. Nel suo primo periodo (1993-1996), colpisce feste, località balneari e fedeli che escono dalla messa. Fa eccezione il 30 settembre 1995, quando i due tubi bomba di Pordenone lasciano probabilmente una firma emotiva molto personale, simile a quella di Portovecchio.

Già in questa prima fase emergono chiari tratti di isolamento e rabbia, manifestati attraverso l’uso di ordigni efficaci ma relativamente semplici.

Poi, dal 1996 al 2000, un silenzio assoluto.


Il ritorno e il perfezionamento tecnico (2000-2006)

L’attentatore ritorna nel 2000, ma appare “cambiato”, tanto da far dubitare che si tratti della stessa persona. Continua a usare tubi bomba solo sporadicamente, ma inizia a prediligere oggetti di uso comune in cui nascondere ordigni basati sulla nitroglicerina.

Questo è un cambiamento cruciale: la nitroglicerina è difficile da ricavare e pericolosa da maneggiare, e l’attentatore dimostra maggiore padronanza tecnica. La sfida allo Stato culmina con l’ordigno nel tribunale di Pordenone.

In alternativa è possibile ipotizzare che Unabomber avesse già le competenze tecniche ma non ha agito prima perché aveva necessità di aiuto per realizzare e collocare ordigni più insidiosi in luoghi più controllati. Che, forse, dal 2000 trova.

Cambiano anche gli obiettivi. L’intento è colpire i bambini e portare il terrore non più solo per strada, ma nelle case e nelle famiglie.

Gli oggetti-bomba sono terrificanti nella loro banalità: bomboletta per stelle filanti, tubetto di pomodoro o maionese, uova, cero votivo, vasetto di Nutella, tubetto di bolle di sapone, evidenziatore, ovetti Kinder, inginocchiatoio trappolato in chiesa.

L’attentatore sfoga la sua rabbia contro la Chiesa, che evidentemente ha frequentato e dalla quale si sente tradito. Ma soprattutto, vuole colpire i bambini (o meglio, i loro genitori), provocando il più straziante dei dolori: vedere i propri figli soffrire e sentirsi impotenti.

Perché questa escalation proprio dal 2000? Forse l’attentatore aveva provato in prima persona quel dolore e quell’angoscia che ora voleva infliggere agli altri?

Il sadismo raggiunge il culmine quando Unabomber osserva, probabilmente soddisfatto, la piccola Francesca Girardi raccogliere l’evidenziatore che, esplodendo, le provoca gravi ferite.


Unabomber e una donna? L’Ipotesi di una complice

Da sempre, Unabomber è associato a una figura maschile e, nella fase di preparazione degli ordigni, è probabile che sia così. Tuttavia, non si può escludere, anzi, che sia stato assistito da una donna.

Una donna avrebbe potuto muoversi con maggiore facilità in luoghi strettamente sorvegliati o in aree di grande affluenza. Le forze dell’ordine cercavano un uomo, non una donna. In un supermercato, in chiesa o al cimitero, una figura femminile passa molto più inosservata.

Una donna con una borsa attirava sicuramente meno l’attenzione. Riflettiamo su com’è stato possibile entrare in una chiesa e sostituire la lampadina votiva elettrica o il cuscino dell’inginocchiatoio senza destare sospetti.

Questa è solo un’ipotesi, certo, ma potrebbe trovare fondamento nella possibile necessità di dita piccole e mani affusolate per la creazione e la dislocazione degli ordigni più piccoli e sofisticati.

Molti sospettano l’esistenza di un “primo Unabomber” (1993-1996) e di uno o più soggetti diversi dal 2000 in poi. Possibile che fosse più di uno ma con una forma di sintonia e forse complicità tra di loro. Potrebbero essere addirittura componenti di una “comunità” di soggetti con avanzate capacità negli esplosivi.

Considerate le forti motivazioni legate al disagio e alla rabbia, è fondamentale ripartire dai luoghi dove esplodono gli ordigni. Che potrebbero essere legati al trauma emotivo che spingeva Unabomber ad agire.

Se la scienza non ha dato risposte, è necessario ricominciare dalle scene del crimine e dai loro significati simbolici, perché la verità non ha scadenza.

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