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11 Agosto 2025

Il lungo cammino verso gli arresti domiciliari: la pazienza strategica di Moraes

La lezione più dura che l’8 gennaio ci ha lasciato non riguarda la forza delle istituzioni, ma la loro fragilità. E il fatto che difenderle non è un compito per un giorno o un anno, ma per un’intera generazione.

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Di Marene Madalena Pozzan Foschiera

L’arresto di Jair Bolsonaro non è stato un atto precipitoso, ma l’epilogo di un meticoloso processo giudiziario che rivela sia la resistenza delle istituzioni che i loro limiti. Alexandre de Moraes, ministro della Corte Suprema, ha tessuto la sua decisione come un orafo lavora l’oro – con pazienza, precisione e la consapevolezza del peso di ogni gesto.

Prima è arrivato il braccialetto elettronico nel luglio 2023, un segnale discreto di avvertimento. Poi, il coprifuoco notturno, una concessione che si sarebbe rivelata troppo generosa. Il divieto di utilizzare i social media ha tracciato una linea rossa con inchiostro indelebile. Eppure, Bolsonaro ha persistito nel suo modus operandi: testare i limiti, sfidare le istituzioni, usare intermediari per eludere le regole.

L’episodio del video pubblicato e poi cancellato dal figlio Flávio è stato rivelatore. Non si trattava di un martire che cercava l’arresto, ma di un uomo abituato a operare ai margini della legalità, convinto che le regole valide per tutti i cittadini non si applicassero a lui. Gli arresti domiciliari del 4 agosto sono stati meno una punizione che un triste riconoscimento: anche dopo tutte le concessioni, l’ex presidente rimaneva incapace di comprendere che la democrazia richiede reciprocità.

Zambelli: Lo specchio distorto del bolsonarismo in esilio

Intanto, per le strade di Roma, si svolgeva un capitolo parallelo di questa stessa storia. Carla Zambelli, la deputata che nell’ottobre 2022 ha puntato una pistola contro un cittadino a San Paolo, che ha comandato l’invasione hacker del CNJ (Consiglio Nazionale della Giustizia), che ha trasformato il PL (Partito Liberale) non in un partito politico ma in un’organizzazione di assalto alle istituzioni, scopriva che il suo passaporto italiano non era il lasciapassare che immaginava.

La fuga in Italia seguiva lo stesso copione bolsonarista: la violenza come linguaggio, la legge come ostacolo da aggirare, la fuga come ultima strategia. Ma l’allerta rossa di Interpol ha trasformato il suo esilio dorato in una cella in attesa di estradizione. Ora, la sua libertà dipende da un calcolo complesso:

– La giustizia italiana, che deve soppesare i trattati internazionali contro le pressioni politiche

– Il governo Meloni, diviso tra l’estrema destra che simpatizza per il bolsonarismo e gli obblighi diplomatici

– L’orologio giudiziario, che potrebbe impiegare fino a due anni per emettere il suo verdetto finale

Il partito del disordine: il PL come macchina del caos istituzionale

Ciò che unisce Bolsonaro e Zambelli va oltre l’ideologia – è il metodo. Il PL si è trasformato non in un partito politico, ma in un’organizzazione dedicata alla sistematica sabotaggio delle istituzioni. La prova più recente? L’invasione del Congresso martedì scorso, quando militanti del partito, molti degli stessi che hanno partecipato agli attacchi dell’8 gennaio, sono tornati a occupare il parlamento chiedendo l’amnistia per il loro leader.

Questo non è un partito che commette errori occasionali. È una macchina ben oliata di crisi istituzionale, che opera in tre tempi:

1. Aggressione: Sia attraverso hacker, armi puntate contro civili o invasioni del Congresso

2. Fuga: Sia verso un bunker a Brasilia o un appartamento a Roma

3. Vittimizzazione: La trasformazione di criminali in martiri, di aguzzini in perseguitati

La democrazia sotto assedio permanente

La narrazione che “il Brasile ha imparato” dall’8 gennaio è un’illusione pericolosa. Gli eventi della scorsa settimana dimostrano che il golpismo non è stato un episodio isolato, ma un processo continuo. Ad ogni concessione, il bolsonarismo avanza un altro passo. Ad ogni esitazione istituzionale, guadagna nuovo slancio.

Ciò che stiamo testimoniando non è la fine dell’autoritarismo, ma la sua mutazione. Quando un partito politico trasforma le invasioni del Congresso in routine, quando i deputati fuggono dal paese dopo le condanne, quando gli ex presidenti governano dalle loro celle domestiche attraverso intermediari, siamo di fronte non a una democrazia che si rafforza, ma a una repubblica che lotta per non disfarsi.

Conclusione: La resistenza come imperativo**

Bolsonaro agli arresti e Zambelli alle strette sono vittorie importanti, ma parziali. La vera battaglia non è nei tribunali o nei processi di estradizione, ma nella capacità della società brasiliana di capire che l’autoritarismo non si arrende – si adatta.

Finché il PL continuerà a trasformare il Congresso in un’arena per i suoi spettacoli di forza, finché i suoi leader tratteranno la Giustizia come un ostacolo da aggirare piuttosto che un pilastro da rispettare, la democrazia brasiliana rimarrà non una realtà consolidata, ma un progetto permanentemente incompiuto e sotto minaccia.

La lezione più dura che l’8 gennaio ci ha lasciato non riguarda la forza delle istituzioni, ma la loro fragilità. E il fatto che difenderle non è un compito per un giorno o un anno, ma per un’intera generazione.