03 Agosto 2025
Omicidio Vassallo e la giustizia in bilico: la doppia misura degli indizi
Dalle celle al banco degli imputati: l’ombra lunga di un sistema che punisce prima di giudicare

Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Era rassicurante. Quando da bambini sentivamo i nostri genitori e i grandi dire “male non fare, paura non avere”. Rassicurante come stare d’inverno in casa vicino al fuoco mentre fuori è brutto tempo. Quando i lampi squarciano il buio creando immagini terrificanti. Poi torna il bel tempo e tutto scompare.
Poi cresci. La vita ti insegna che è sacrosanto il “male non fare” ma sul “paura non avere” le cose sono più complicate. E paura inizi ad averla. Perché anche se ti comporti bene arrivano i lampi, il buio e le immagini terrificanti.
Specialmente quando sperimenti che per non finire nel nostro sistema processuale non basta “il male non fare”.
Facciamo un esempio pratico partendo da questo stralcio di un articolo di cronachesalerno.it https://cronachesalerno.it/borrelli-ridottii-tempi-processuali/.
“Ha descritto il caso come “un processo indiziario che è stato definito a distanza anche di 15 anni da quando si verificarono i fatti”. Il Procuratore ha chiarito che, sebbene la Procura abbia offerto la propria ipotesi di risoluzione, e che la decisione del tribunale del riesame sia stata conforme alle richieste di scarcerazione, è fondamentale che il giudice del dibattimento possa affrontare la ricostruzione di un caso così complesso “nel modo più sereno possibile”, sempre “nel rispetto di tutti e anche dei diritti degli imputati”, specialmente considerando la natura indiziaria e il tempo trascorso dai fatti”.
Sono parole del Procuratore Giuseppe Borelli nel giorno in cui saluta Salerno per prendere incarico a Reggio Calabria.
Parole riferite alla vicenda dell’omicidio di Angelo Vassallo sindaco di Pollica.
Vicenda per cui sono state indagate e sottoposte a custodia cautelare quattro persone. Tra cui il colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo.
E saranno quasi sicuramente processate.
Il Procuratore Borrelli nella sua dichiarazione che abbiamo riportato esorta i giudici ad agire con prudenza e rispetto per gli imputati. Tenendo conto che parliamo di indizi e che sono passati quindici anni dai fatti.
Lodevole intento verrebbe da dire.
Non proprio in realtà. Perché la considerazione della presenza di soli indizi e del lungo tempo trascorso non ha impedito alla Procura di Salerno di chiedere e ottenere la detenzione in carcere. Per oltre sei mesi. Nonostante l’elementare considerazione che dopo 15 anni parlare di rischio di inquinamento delle prove e reiterazione è abbastanza irrealistico.
Inoltre è vero che la Procura di Salerno ha chiesto la scarcerazione ma per il venir meno delle esigenze cautelari. Così facendo gli articolati rilievi della Cassazione sono stati bypassati. Così ritiene il collegio difensivo del colonnello Cagnazzo che ha annunciato un nuovo ricorso presso la Suprema Corte.
Certo dottrina e giurisprudenza insegnano che nella fase di indagini preliminari, misure cautelari e rinvio a giudizio sono gli indizi a fondare valutazioni e provvedimenti.
Giusto ma ci sono eccezioni e perplessità.
Nel caso dell’omicidio di Angelo Vassallo non sono stati individuati gli esecutori materiali. Gli indagati sono stati accusati di aver pianificato l’omicidio.
Fabio Cagnazzo in particolare è accusato di aver rafforzato il proposito criminoso assicurando l’azione di depistaggio. Che secondo la Procura è stato realizzato.
Tutte le accuse si reggono sulle dichiarazioni di alcuni pentiti. Dichiarazioni su cui la Cassazione si è espressa sollevando dubbi https://www.quotidianodelsud.it/laltravoce-dellitalia/cronache/giudiziaria/2025/05/10/vassallo-unindagine-flop-tra-buchi-e-contraddizioni .
Vediamoli, molto sommariamente, questi indizi.
Il presunto depistaggio del colonnello Cagnazzo in realtà sono atti di polizia giudiziaria compiuti da un ufficiale di polizia giudiziaria https://ilsud-est.it/attualita/cronaca/2025/03/10/fabio-cagnazzo-i-primi-atti-di-polizia-giudiziaria-nellomicidio-vassallo/ .
Il presunto traffico di droga esiste nelle parole dei pentiti ma non ha trovato nessun oggettivo risconto.
Anzi, la Fondazione Angelo Vassallo ha recentemente dichiarato che il sindaco è stato ucciso perché aveva “toccato il sistema Strade Fantasma” https://www.salernotoday.it/attualita/processi-strade-fantasma-due-torri-bis-fondazione-vassallo.html .
Quindi niente droga ma denaro pubblico finito nelle tasche di privati.
Sarebbe utile, a tal proposito, approfondire la pista legata ai fascicoli trovati nell’auto di Vassallo.
Gli indizi devono essere precisi, gravi e concordanti.
In questo caso il movente non è chiaro. Esecutori mai individuati.
Gli atti compiuti dal colonnello Cagnazzo non hanno il carattere indiziario di precisione, gravità e concordanza.
La riforma Cartabia ha cercato di vincolare il rinvio a giudizio alla ragionevole previsione di condanna.
Poco è stato fatto però per la custodia cautelare. Che deve sicuramente avere come criteri di valutazione il pericolo di fuga, la reiterazione e l’inquinamento delle prove ma anche la ragionevole previsione di condanna.
Siamo nell’epoca dei social dove la custodia cautelare diventa un marchio. Oltre che un peso terribile per una persona innocente.
Non basta la vecchia formula del “il processo chiarirà tutto”. Non basta perché non guarisce le ferite. Specialmente in casi dove la detenzione e il processo si potevano oggettivamente evitare.
Il colonnello Fabio Cagnazzo ha recentemente dichiarato di credere ancora nella giustizia https://www.infocilento.it/omicidio-vassallo-parla-cagnazzo-sono-completamente-estraneo-ai-fatti/. Affermazione degna di un valente ufficiale dei carabinieri ma non possiamo non essere preoccupati.
Le parole del Procuratore Borrelli non possono non aprire una riflessione. Anche perché sono molto simili alle parole di Gianfranco Izzo ex Procuratore di Cassino. In una intervista del 19 novembre 2017 con riferimento a Carmine Belli, detenuto per 17 mesi con l’accusa di aver ucciso Serena Mollicone, Izzo dice “Ero certo però che sarebbe stato assolto perché era un processo indiziario”. Belli non ha ricevuto un risarcimento per ingiusta detenzione.
Viene spontanea la domanda, se la Pubblica Accusa ha la fondata convinzione che il processo non porterà ad una condanna perché non fermare tutto prima? Perché non evitare il carcere a chi con buona probabilità non sarà condannato?
Una domanda che deve portarci a riflettere. Anche per tutelare le vittime. Per non correre il rischio, certamente non nel caso in oggetto, di vedere assolto un colpevole per mancanza di elementi di prova solidi. Attendere potrebbe consentire di avere elementi nuovi, anche grazie al continuo progredire della criminalistica.
Siamo sinceri, l’ingiusta detenzione di un imputato “qualunque” generalmente non impressiona più di tanto, tranne eccezioni, la pubblica opinione. Specialmente in tempi come i nostri in cui siamo abituati “all’osceno e lo guardiamo come se fosse un reality” usando le parole di Alice De André.
Ma la dolorosa vicenda vissuta da un servitore dello Stato come Fabio Cagnazzo. Dalla sua famiglia che appartiene alla leggendaria storia dell’Arma, ha un così forte messaggio simbolico che non può cadere nel vuoto. Non hanno mai fatto del male, anzi. Non hanno mai avuto paura, anzi. Eppure vivono il peggiore degli incubi.
Se l’azione penale è obbligatoria la custodia cautelare e il rinvio a giudizio devono trovare una oggettiva e granitica giustificazione in una previsione più che ragionevole di condanna. Ripetiamolo. Altrimenti si rischia di bruciare delle vite. Come illustrato in questa scena capolavoro del film “In nome del popolo italiano”.
Che ci siano sempre di guida le parole illuminate di Alessandro Manzoni, che andrebbero affisse in ogni Tribunale.
“E’ men male l’agitarsi nel dubbio, che il riposar nell’errore”.
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