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11 Maggio 2025

Feudi di dati: il nuovo signore digitale

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Terza parte della serie “Il futuro è in disputa”

Di Marlene Madalena Pozzan Foschiera

Il capitalismo ha sempre saputo reinventarsi.
Da un impero all’altro, da una colonia all’altra, dalla piantagione alla fabbrica, ha mutato la propria forma per continuare a estrarre valore da corpi, territori, tempo e vite.
Oggi, nella sua mutazione più avanzata, non si accontenta più di sfruttare il corpo: vuole invadere la mente, catturare la soggettività, colonizzare il desiderio.

Siamo entrate nell’epoca del capitalismo della sorveglianza — un sistema in cui i dati personali sostituiscono il sudore come materia prima dell’accumulazione.
E in questo nuovo ordine globale, chi controlla i dati controlla tutto.

I nuovi signori feudali del XXI secolo

Google. Meta. Amazon. Apple. Microsoft. TikTok.
Queste non sono solo imprese tecnologiche. Sono i proprietari della nuova infrastruttura informazionale del pianeta.
Come nel feudalesimo, concentrano i mezzi di produzione e comunicazione.
Solo che oggi, al posto della terra, ci sono i server. Al posto dei castelli, i data center. E al posto dei servi… ci siamo noi.

Produciamo dati ad ogni clic, ogni ricerca, ogni scroll, ogni messaggio. Offriamo gratuitamente le nostre abitudini, i nostri desideri, i nostri spostamenti, i nostri battiti cardiaci, le immagini dei nostri figli, le emozioni quotidiane.
In cambio, riceviamo notifiche, dopamina digitale, e l’illusione di essere libere.

Le piattaforme digitali sono diventate porte obbligatorie di accesso al mondo. Chi resta fuori, scompare.
Intermediano tutto: comunicazione, informazione, affetto, commercio, militanza.
Controllano ciò che vediamo, ciò che pensiamo, ciò che desideriamo. E possono escluderci in ogni momento, senza spiegazioni.

La nuova miniera è la soggettività

Non siamo solo sorvegliate.
Siamo modellate.
Le reti sociali, gli algoritmi, i motori di ricerca e gli assistenti vocali non si limitano a osservare — plasmano.
Prevedere il comportamento è profitto. Indurlo è potere.

La teorica Shoshana Zuboff chiama questo modello capitalismo della sorveglianza (The Age of Surveillance Capitalism, 2019):
un sistema in cui il profitto nasce dall’anticipazione e manipolazione del comportamento umano.
Lo scopo non è solo sapere cosa faremo — ma farci fare ciò che conviene a loro.

Non si tratta di coercizione violenta.
Si tratta di architettura digitale.
Di ambienti progettati per condizionare le scelte. Di feed costruiti per polarizzare, distrarre, influenzare. Di metriche invisibili che ordinano ciò che appare — e ciò che scompare.

È una colonizzazione dell’attenzione, della memoria, dell’immaginario.
E non è tecnologia neutra.
È dominio.

Dal mercato alla guerra informativa

Il caso Cambridge Analytica è stato rivelatore:
milioni di dati raccolti su Facebook sono stati utilizzati per costruire profili psicologici e manipolare elezioni — dal Brexit agli Stati Uniti, fino a paesi del Sud globale.

In Brasile, lo abbiamo vissuto da vicino:
la macchina di propaganda bolsonarista ha usato WhatsApp, Telegram e Facebook per diffondere fake news, seminare odio, manipolare emozioni e alterare il dibattito pubblico.
Non si tratta di “libertà di espressione”.
È guerra ibrida.
Una guerra combattuta con bot, memes, codice e paura.

Il territorio conteso non è solo il voto.
È la coscienza.

Il nuovo feudalesimo digitale

Almeno nei feudi medievali, il signore proteggeva i suoi servi.
Qui, no. Qui c’è solo estrazione.
Nessuna reciprocità. Nessuna garanzia. Solo sfruttamento e controllo.

Le regole cambiano all’improvviso.
Le pagine vengono demonetizzate. I contenuti spariscono. I profili vengono sospesi senza spiegazione.
Nessun diritto di replica. Solo algoritmi.

È autoritarismo algoritmico, mascherato da “termini di servizio”.

E lo Stato?

Lo Stato — in gran parte del mondo — assiste passivamente, o si arrende.
Non ha sovranità tecnologica, né infrastruttura pubblica, né una visione a lungo termine.
In alcuni casi, come in Cina, cerca di controllare le piattaforme.
Altrove, diventa loro ostaggio.

Manca una strategia di governance pubblica del digitale.
Mancano politiche per la sovranità informativa.
Manca la consapevolezza che oggi, la democrazia passa anche per il controllo dei dati.

Intanto, le nostre emozioni vengono mercificate.
La nostra intimità viene monetizzata.
La nostra attenzione viene sfruttata per arricchire pochi.

Siamo nel pieno di una nuova colonizzazione:
colonizzazione dei dati, delle menti, dei desideri.

E disconnettersi non basta.

È il momento di lottare.

Serve organizzazione. Coraggio. Visione politica.
Serve una tecnologia che serva la libertà — e non il profitto.

Dobbiamo lottare:

  • Per una regolazione democratica delle piattaforme, con trasparenza, accesso pubblico e accountability.
  • Per una sovranità informativa dei popoli, con tutela dei dati, diritto alla privacy e accesso equo al sapere.
  • Per la costruzione di infrastrutture tecnologiche pubbliche, comunitarie, cooperative.
  • Per una educazione digitale critica, nelle scuole, nei sindacati, nei movimenti popolari.
  • Per la difesa dei beni comuni digitali: spazi aperti, solidali, demercificati.

La libertà digitale non verrà dalle multinazionali.
Va costruita collettivamente — nei territori, nelle reti, nei movimenti.

Non accetteremo di vivere in feudi.
Vogliamo costruire mondi digitali comuni, giusti, aperti, umani.

Riferimenti e letture consigliate:

  • Zuboff, Shoshana – The Age of Surveillance Capitalism (2019)
  • Morozov, Evgeny – To Save Everything, Click Here (2013)
  • CLACSO – Piattaforme e disuguaglianze (2022)
  • The Guardian & Channel 4 – Cambridge Analytica e le elezioni (2018)
  • Documentario – The Social Dilemma (Netflix, 2020)
  • Fairwork – Rapporto sul lavoro in piattaforma in Brasile (2023)
  • Morozov, Evgeny – articoli su The Baffler e The Guardian
  • UNESCO – Linee guida per la governance delle piattaforme digitali (2023)