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Ragazze nei sacchetti della spesa

Le prostitute di colore non vendono il loro corpo: quel corpo non è mai stato il loro, a prescindere dal mestiere che fanno e, come è noto, non si può vendere ciò che non si è mai posseduto.

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Credit foto Pinterest

Ogni giorno, tornando a casa, osservo il passaggio di giovani donne di colore che, con un sacchetto della spesa, si dirigono verso la stazione centrale.

A testa alta, con corpi quasi sempre perfetti, come quelli delle più belle modelle delle riviste patinate, indossano abiti fuori moda, che la maggior parte di noi non indosserebbe mai, ma che non sottraggono nulla alla fierezza senza tempo del loro elegante incedere.

Svogliate, trattengono con una mano il sacchetto di plastica che contiene altri abiti, quelli che indosseranno sul luogo di lavoro.

Fanno le prostitute sulle strade statali limitrofe alla città e che raggiungono ogni giorno in treno. Queste donne non vendono il loro corpo, perché quel corpo non è mai stato il loro, a prescindere dal mestiere che fanno e, com’è noto, non si può vendere ciò che non si è mai posseduto.

Quando ne affianco una, mi domando cosa stia pensando in quel preciso momento, mentre raggiunge la stazione col suo sacchetto. Queste ragazze rincorrono un ruolo, anche se la meta pare a tutti lontana, il ruolo di mogli e madri orgogliose pronte a difendere i propri figli e che con rigore vorranno educarli.

Rincorrono un ruolo quasi uguale a quello che le donne occidentali hanno inseguito fino alla fine degli anni settanta del secolo scorso. Sia il ruolo di prostitute, che quello di mogli e madri è però sempre deciso ed imposto loro dall’uomo.

Cosa pensano quando intrattengono un maschio di questa città? Cosa pensano i neri loro connazionali che le obbligano a vendersi?

Cosa resterà nei cuori di queste donne? Vivranno sognando la rivalsa contro i propri aguzzini, contro i bianchi che le caricano in macchina, contro noi, donne bianche che non si sognerebbero mai di invitare una di queste ragazze a prendere un caffè a casa nostra?

Eppure la povertà e la debolezza prodotta dalla povertà, non le pongono solo in una condizione di sudditanza nei nostri confronti. Ci si accorge infatti che, come tanti costretti a vivere un gradino sotto l’umanità, considerano i bianchi migliori, i ricchi migliori perché non miserabili.

Se così non fosse, non educherebbero la loro prole all’occidentale. Se così non fosse, i loro figli non si sforzerebbero di assomigliare ai nostri senza esercitare alcun senso critico e, finendo per riuscirci, non diventerebbero come noi, con gli occhi pieni di pretese arroganti ed il più delle volte massimamente ignoranti.

Rosamaria Fumarola

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano