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Società

Enclave di rancorosi

Tutti siamo abituati alla tenerezza dei nonni verso i nipoti, o alle attenzioni di uomini di quaranta o cinquant’anni all’indirizzo di donne perlopiù giovani. Io  stessa ho incontrato spesso esseri umani più o meno ascrivibili per età e condizione alle caratteristiche suddette, tuttavia a sessanta, settant’anni ed ottanta, un nonno ed una nonna non sempre possono o vogliono rassicurare ed il quarantenne non sempre esiste per sedurre.

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Il nonno rassicurante, in equilibrio sui suoi vizi, sereno nell’abbraccio ai giovani.

La signora settantenne nel salotto borghese di buona fattura, un po’ spento e polveroso come la sua età.

Il quarantenne col suo lavoro fisso, che vuole esprimere la sua libertà di sedurre.

Tutti siamo abituati a queste figure. Io  stessa ho incontrato quasi sempre esseri umani più o meno ascrivibili per età e condizione alle caratteristiche suddette, tuttavia a sessanta, settant’anni ed ottanta, un nonno ed una nonna non sempre possono o vogliono rassicurare ed il quarantenne non sempre esiste per sedurre.

A Bari ci si può così imbattere in pensionati astiosi che sgonfiano la ruota di una bici perché è parcheggiata troppo vicino alla panchina su cui trascorrono i caldi pomeriggi estivi. Ed anche un uomo sui quaranta o cinquant’anni, può interessarsi ad una bella donna non per sedurla, ma per manifestarle la medesima scortesia che mostrerebbe ad un camionista. Questi individui, agli antipodi  degli stereotipi borghesi e buonisti della baresita` o almeno alcuni di essi, si riuniscono in enclave in diverse zone della città. 

Lo scorso anno ho scoperto che mia madre ne frequenta (e con  una certa soddisfazione) una: per lei sono brave persone e non cani ringhiosi e sembra non accorgersi che non vi sia niente nei loro atti che non sparga intorno il fiele che si portano dentro.

I membri dell’enclave hanno gran piacere nell’incontrarsi e nel trascorrere del tempo assieme, facendosi beffe di quanti all’enclave rimangono estranei. La maggior parte di essi fa una gran fatica a tirare avanti, tra mutui, licenziamenti improvvisi e pensioni minime, ma nonostante ciò non è facile simpatizzare per loro: tutti lottiamo per sopravvivere, ma non tutti lo facciamo allo stesso modo. Quelli come me brandiscono la cultura come fattore di emancipazione sociale e si ergono al di sopra di essa, guardando il mondo dall’alto in basso, anche quando, ben conoscono la mancanza di dignità che deriva dall’essere ai margini perché si hanno le tasche vuote e lo stomaco pure.

Sarà stata forse quell’educazione al sacrificio assoluto, frutto di una stortura della dottrina cristiano cattolica insegnatami da mia madre per proprio interesse, a non permettermi di tirare sassi agli altri per nessuna ragione, nemmeno la più giusta ed a farmi apparire indigesti i comportamenti degli appartenenti all’enclave dei rancorosi.

O sarà stato invece per ciò che mio padre  si sforzo`di trasmettermi, affinché fossi appetibile alla borghesia della quale non fece mai parte, che considero irrispettoso e disgustoso ogni atto di tali enclave, se non come oggetto di studio da parte degli antropologi.

Vivo a Bari da più di quarant’anni e mi stupisco ancora e non di rado, di alcune sue realtà, perché Bari non l’ho capita e nemmeno avvicinata, ma comunque l’ho giudicata. È una città complessa e contraddittoria ( come tutti i luoghi nei quali vivono almeno due persone).

Per mio limite non ho molti ricordi sereni delle sue strade e dei suoi abitanti, ma ho sempre scelto di aver fiducia nelle regole che una società civile si dà, pur consapevole che spesso si tratta di regole scelte da una classe dirigente per l’esclusiva difesa dei propri interessi ed infischiandosene di ciò che sia altro da sé.

Per  merito o per fortuna, quelle regole le ho imparate ed ovviamente seguirle non mi ha portato a fare la rivoluzione e non avrebbe pertanto torto chi mi chiamasse pecora, ché tale io stessa ritengo di essere.

Per gli amici di mia madre, imparare a conoscere le regole, non è stato l’obbiettivo primario dell’esistenza: hanno vissuto in una trincea parallela alla mia, in cui tre soldi possono essere solo tre soldi, sono stati schiacciati dalle leggi di una classe politica ottusa e meschina e non sono mai approdati ad una condizione dignitosa che permettesse loro quello che, forse a torto, crediamo essere il diritto ad una vita serena, nello scorrere delle sue diverse stagioni.

Ma la verità è che costoro non sono meglio dell’upper class di questa città e che sono, gli uni e gli altri, accumunati dagli stessi limiti.

Per me, di certo stupidamente, faceva cosa più apprezzabile mio padre che sorrideva sempre, anche quando la vita era solo necessità o tragedia, senza infierire sul prossimo per una mai compresa ragione delle proprie sorti.

 Rosamaria Fumarola

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano