Cultura
PierLuigi Morizio autore di “Più forte di Schillaci e altre storie di sport” ci racconta il suo punto di vista: “Guardandomi alle spalle mi sono accorto che ho scritto per lavoro da quando avevo 20 anni”.
Intervista a PierLuigi Morizio autore, attore e conduttore in teatro e radio tv.
a cura di Fabia Tonazzi
photocredit Facebook
Oggi voglio presentarvi PierLuigi Morizio autore, attore e conduttore in teatro e radio tv. E’ uscito in questo periodo il suo libro “Più forte di Schillaci e altre storie di sport” Nabis editrice. Il titolo del libro incuriosisce, di cosa parlerà? E’ facile intuirlo…Ma non vogliamo svelarvi nulla sulla trama…invece, siamo prontissimi per conoscere meglio PierLuigi.
Qualcosa su di te e di cosa ti occupi, come mai hai realizzato proprio quest’opera?
In realtà credo di essere principalmente un narratore che si è trovato per caso in un momento di accelerazione sorprendente dei sistemi mediatici e quindi alla fine, per caso, per piacere personale o per necessità, ho usato ogni mezzo possibile per raccontare storie, a volte verissime come nella mia esperienza giornalistica, a volte del tutto inventate come nella scrittura di scena, e a volte solo “verità ben detta”, come nei commercials. Le ho raccontate in tv, su un palco, in radio, sul web, alla fine è arrivato anche un libro, una pubblicazione che tutto sommato è solo un’estensione della mia consueta attività.
Ti spiego: guardandomi alle spalle, mi sono accorto che ho scritto per lavoro da quando avevo 20 anni. Ho cominciato da giovanissimo con testi per canzoni e poi, lavorando come interprete e aiuto regista con una compagnia teatrale professionistica, ho operato molto su testi teatrali originali, adattamenti e traduzioni. Credo di aver accumulato migliaia di repliche con i miei testi, perché all’epoca si lavorava moltissimo anche con il mondo della scuola. Poi mi sono occupato di sceneggiati radiofonici e ho firmato anche dieci puntate con Rai3 Puglia, quando era centro di produzione. E poi ancora la televisione, dove ho scritto ideato e scritto programmi per le tv commerciali pugliesi, anche lì assommando centinaia, forse migliaia di puntate. Nel contempo, però, ho abbracciato l’informazione (altra area per cui nutro una passione sviscerata) e ho scritto da giornalista, un po’ per la stampa ma molto più per la tv, su cui ho scritto anche un saggio. Sono un patito dei fenomeni mediatici, li analizzo e li disseziono con vorace interesse. E in questo c’entra anche il lavoro di copywriter che pratico da free lance. Non so più quante migliaia di spot, annunci e pagine web ho scritto…Alla fine una pubblicazione di narrativa ci sta bene, no? Però prometto che non scriverò mai di poesia, non è davvero il mio genere.
Come è la tua giornata tipo?
La mia vita è molto cambiata da quando il lavoro giornalistico si è sovrapposto alla professione teatrale, prevalendo in breve tempo. Ero una creatura notturna che improvvisava la sua vita giorno per giorno, oggi vado a letto al massimo a mezzanotte e sono parecchio metodico. Mi alzo presto, intorno alle sei se non prima, le mie prime due ore sono sistematicamente dedicate alla casa: lavastoviglie o lavatrice, spazzatura, aggiustare qualcosa di rotto, mettere in ordine. Poi il caffè davanti al Tg, l’organizzazione della giornata, la consultazione sul telefono delle mail urgenti o dei messaggi. Alle 8,30 circa mi ritiro nella mia stanza/studio, apro il pc, si inizia a lavorare. Contatti, rapporti, mail, telefonate e soprattutto scrittura. Quando posso, interrompo la sessione di lavoro per circa 30 minuti e faccio quattro passi per il quartiere. Ne approfitto per fare un po’ spesa o qualche commissione particolare. Mi piace camminare, poichè non riesco più ad avere un’attività sportiva intensa come un tempo. Prima correvo per strada anche per andare alla posta, semplicemente perché mi piaceva da matti correre. Oggi corro poco, ma mi muovo comunque abbastanza, anche se non quanto vorrei. Poi cucino molto spesso per la mia famiglia. A me piace cucinare, è un atto profondamente creativo oltre che di amore verso i propri cari. Dopo pranzo una breve lettura, una pausa di un’oretta, e verso le 15,30/16 di nuovo al PC fino alle 19. Prima avevo appuntamento almeno tre volte la settimana con le mie attività sportive. ma da un annetto ho rallentato per via di qualche problema articolare. Ma non demordo, spero di risolvere con l’aiuto della medicina. Per adesso lo sport è confinato al weekend ma non credo sparirà mai dalla mia vita. Senza sport non so se saprei vivere.
Trovi il tempo per rilassarti?
Devo ammettere che non sono mai molto rilassato. O forse il mio relax è il lavoro, non so. Lavorare nella comunicazione è bellissimo, mi piace scrivere e mi piace stare in scena, ma sei continuamente alla frusta, continuamente giudicato per quel che fai, non puoi sbagliare niente. E anche se sei perfetto in tutto c’è sempre qualcuno che troverà qualcosa di sbagliato semplicemente perché vuole esercitare il suo potere. A volte rovinando tutto il castello che tu hai pazientemente costruito.
Nel quotidiano i miei momenti di relax sono la lettura di sera o dopo pranzo, il cinema con mia figlia, le passeggiate nei boschi con la mia compagna, stare in mezzo agli animali, specie i cavalli…E poi c’è uno strano esserino grigio e peloso che si aggira per casa spacciandosi per la nostra gatta. Una trovatella raccolta per strada malatissima e destinata a una brutta fine, che è diventata bellissima e affettuosissima. Anche quella mi regala momenti di rilassamento, specie quando si sdraia su di me e si addormenta, obbligandomi a restare sul divano per non svegliarla.
Cosa sognavi da piccolo? C’è qualcosa che ti accomuna ai tuoi personaggi?
Da piccolo sognavo una quantità di cose che non si sono mai avverate. Lo ammetto, sono un po’ deluso per questo, specie per non avere il mondo pulito, onesto, coraggioso, meritocratico in cui speravo di vivere. È doloroso accorgersi di vivere in una giungla stressante dove ogni mattina devi difenderti da tentativi di prevaricazione, di truffa o di aggressione. E vedere questa volgare ferocia sociopatica in tanti che godono quando ad altrui va storto qualcosa. Oggi lo si vede esploso sul web, ma è una percezione che ho quotidianamente e che vedo anche in gente che ha tanti pregi professionali, ma una grande miseria umana. Forse questo disincanto mi accomuna ai miei personaggi: dare tutto ma non aspettarsi nulla, in modo che ogni evento positivo sia una vera e inaspettata felicità.
Cosa ti piace di più del lavoro che fai?
Tutto. Dalla spietata necessità di sintesi del giornalismo e del copywriting, che è una terribile ma splendida palestra per uno scrittore, al costruire i format per la TV fino a scrivere personaggi per gli attori. Quest’ultimo è un lavoro che purtroppo non pratico da tempo mercé la crisi di settore, ma devo dire che mi piace moltissimo costruire il personaggio e il testo intorno agli attori che ho a disposizione. Non molti lo fanno, ma la maniera giusta di scrivere per il teatro o per gli sceneggiati radio tv, per me, è solo quella. Quando si ha qualcosa da raccontare bisogna farlo utilizzando al meglio gli strumenti giusti. Chi userebbe un colapasta come cappello per la pioggia? Eppure spesso si fa proprio questo, seguendo solo le proprie linee narrative senza tenere conto degli attori, che finiscono spesso per recitare battute assolutamente inadatte a loro.
Ti identifichi con un personaggio in particolare del tuo libro o no?
Tutti e nessuno. I miei personaggi si identificano più che altro con i miei sogni ad occhi aperti, le mie impressioni, i miei pensieri. Ogni tanto vivo o vedo qualcosa che mi colpisce, e vi costruisco intorno un contesto, delle premesse, soprattutto un finale diverso. La mia testa è alla continua ricerca di sliding doors. Vedo una storia e penso: e se fosse andata diversamente? Una cosa però hanno in comune con me, questi personaggi, forse solo quella: la passione per lo sport. Io parlo di cose che conosco. So cosa vuol dire prendere e dare un pugno sul ring, saltare un ostacolo e cadere da cavallo, fiocinare e perdere un pesce in apnea, correre i cento metri piani e arrivare primo ma anche ultimo, segnare il canestro della vittoria e prendere una clamorosa stoppata, sentire il canto scivolato degli sci sulla neve e provare smarrimento davanti una pendenza da paura. Lo sport è sottovalutato nella scuola italiana almeno quanto la conoscenza del latino, che invece è la vera palestra per la lingua italiana. Ed è sottovalutato socialmente almeno quanto l’arte e lo spettacolo in genere, che invece sono la struttura portante, la fondazione, la pietra angolare per la formazione dell’anima e dell’etica di una società. Avremmo meno depressi, meno violenti e meno ignavi se ragazzi e adulti frequentassero di più i campi sportivi o i palazzetti, i teatri e i cinema o le serate culturali. Altro che andare in palestra a maggio per dimagrire in vista della prova costume o ritenersi sportivi perché si ha l’abbonamento alla PayTv. Io oggi sono un sessantaquattrenne in sovrappeso, ma probabilmente sarei capace di battere su una corsa breve tanti ragazzi che escono da scuola.
Credi che ci sia spazio nella società attuale per i tuoi protagonisti o si troverebbero spiazzati?
I miei personaggi sono profondamente immersi nella società, sono persone comuni che tutti avete al fianco e se guardate con attenzione li scoprirete vicino a voi. Certo che hanno spazio: qualcuno di loro vince, qualcuno perde (anche se mi dispiace maledettamente farlo perdere), qualcuno subisce umiliazioni e offese da spezzare le reni ma poi si riprende in qualche modo. Come nella vita comune. A loro modo sono tutti eroi, dello stesso eroismo che hai tu nello scrivere di cultura invece che appiattirti sul gossip come tanti tuoi colleghi, o che ho io, a volte, nel sottoporre i miei testi a qualcuno che non potrebbe giudicare nemmeno il testo di un biglietto da visita.
La cultura e i libri…Hai un riferimento in politica o nella società attuale che ti ispira fiducia?
Tasto dolente. No, nessuno. La crisi economica che ormai ci inchioda dal 2008 ha peggiorato una situazione già critica. Non esiste più in tutta l’editoria la figura del lettore, del talent scout per eccellenza, quello che individua la penna di valore e la propone all’editore che medita (molto giustamente) di arricchirsi facendolo lavorare bene. Oggi si cerca il fenomeno da social, quello che ha duemila followers e venderà il primo libro in duemila copie. E basta, perché il secondo libro non lo comprano di certo. Lo stesso accade nella musica dove da anni si cerca il “pezzo” e non l’autore, e non parliamo della tv dove l’autore vero è messo all’angolo, scalzato dallo scalettista e, peggio, dal selezionatore di format stranieri. Uno ogni tanto mi sta benissimo, come mi stavano benissimo i telefilm del tenente Colombo o Wild Wild West (nulla di simile mai prodotto in Italia), ma copiare i quiz dopo aver avuto Mike Bongiorno o i game show dopo aver avuto Campanile sera o Il Musichiere già agli albori della tv italiana, mi sembra stupido. Davvero non abbiamo più autori capaci di inventare format di intrattenimento? Stupidaggine. Ci sono, ma i produttori li tengono in cantina. E poi c’è il fenomeno della vanity press che alletta gli editori ma inquina, corrompe e distorce il mercato, fenomeno alimentato da chi pubblica a pagamento e si illude di sfondare. in Italia si stampano 50.000 libri all’anno o forse più, in quella Italia dove forse non esistono 50.000 lettori. 50.000 scrittori, la maggior parte dei quali mediocri, che si faranno pubblicità da soli senza alcun sostegno dell’editore cui hanno pagato tutte le spese più il suo guadagno. Un mercato drogato. Ecco perchè, ti dicevo, era fondamentale la figura oggi scomparsa del lettore editoriale, quello che legge tutte le proposte, scarta i mediocri, seleziona solo i dieci che hanno delle chance e spinge l’editore a investire su di loro, almeno in termini di comunicazione e stampa, magari garantendosi qualcosa in più sul venduto. Senza il talent scout non c’è selezione, è tutto molto confuso, trovare un buon libro oggi è come cercare una informazione corretta su FB: due milioni di sciocchezze, tra cui la metà puro delirio, e solo dieci voci reali e verificabili. Ecco perché, alla fine, si impone il fenomeno dell’autopubblicazione. Non venderai due libri, ma almeno spendi solo per le copie realmente stampate. L’editoria sarà sempre più in crisi, è vero, ma in realtà sta segando il ramo su cui è seduta.
Credi che si potrebbe fare di più, PierLuigi, in merito alla sensibilizzazione dei giovani nei confronti di eventi culturali o sei soddisfatto come scrittore?
Come comunicatore e operatore culturale non posso davvero essere soddisfatto. Non mi piace quello che si fa e come ci si rapporta ai giovani nella proposta culturale. Si trasferisce ai ragazzi l’informazione sbagliata secondo cui la cultura sia qualcosa di noioso e inutile. Perché inutili e noiosi sono quelli che ne parlano. Invece la cultura è come lo sport. Alla sofferenza e alla ripetitività dell’allenamento segue non solo il successo nella gara, ma soprattutto il divertimento della competizione, la socializzazione e a volte anche il denaro. È profondamente sbagliato dare la sensazione immotivata di una cultura noiosa. Io quando parlo ai ragazzi insegno una cosa molto elementare: chi più sa, più si diverte. È un concetto basilare: se capisci solo di calcio o solo di moda, ti divertirai solo alle partite di calcio o solo alle sfilate di moda. Il resto della tua vita sarà una noia mortale. Invece se capisci di basket, atletica, sci, sinfonica, lirica, pop, rock, letteratura, arti figurative, se suoni uno strumento, se sai dipingere o scrivere storie, se sai pescare, nuotare, arrampicarti o cantare ti divertirai come un pazzo per tutta la vita, perché non solo avrai mille proposte per osservare gli artisti dello sport e dello spettacolo, ma tante volte sarai anche protagonista. Chi di diverte di più, ditemi? Quello col telecomando in mano o quello in campo col pallone tra i piedi? Solo che tutte queste cose vanno conquistate, non cadono dall’alto, richiedono sforzo, impegno e determinazione. A volte anche un po’ di noia, perché non tutti i maestri sono bravi e non tutti i libri sono belli. Ma è il traguardo che conta. E il percorso conta ancora di più, perché sarà una serie infinita di foto che un giorno guarderai con entusiasmo. Ricordare “Quando vinsi la gara dei cento metri” o “Quando il pubblico applaudì la mia canzone” conta un milione di volte in più che ricordare “Quando l’Inter vinse il campionato”. Quanto può valere l’Inter rispetto alla medaglia d’oro nel campionato di basket scolastico appesa nel mio studio?
RIPRODUZIONE RISERVATA ©