Politica
La demagogia non si ferma, la pandemia forse
Da “prima gli italiani” ad “andrà tutto bene”, non importa la coerenza o il programma politico: la demagogia non si ferma, la pandemia forse.
Di Alessandro Andrea Argeri
Da “prima gli italiani” ad “andrà tutto bene”. Non importa la coerenza, o l’effettivo programma politico, all’occorrenza si è sia capi elitari sia uomini del popolo: la demagogia non si ferma, la pandemia forse.
La demagogia, fenomeno nato con le prime forme di democrazia della storia, quando nelle polis greche tutti i cittadini partecipavano alla vita sociale, è ormai ufficialmente uno “stile politico”, costituito da promesse non mantenute, vocaboli usati in modo ambiguo in contesti dove persino una virgola può cambiare il senso di un intero discorso.
Dopotutto in democrazia non si può fare a meno del consenso popolare, per questo “si parla alla pancia”, si semplifica la realtà con facilità estrema. Solitamente il “demagogo”, leader carismatico nonché maestro di retorica, nel momento di maggior crisi individua una fantomatica causa alla base di ogni problema, la quale diventa allora il nemico pubblico numero uno verso cui canalizzare l’odio della massa, cavalcarne il malcontento per salire al potere. Con la demagogia infatti la democrazia diventa “negativa”: “tirannide”. Nella storia troviamo esempi emblematici, da Cesare all’intera dinastia Flavia, fino ai “moderni” Napoleone, Hitler, Mussolini, Lenin, Putin, Erdogan. Menzione a parte per Robespierre, il quale salì al potere con la demagogia ma nel governare si inimicò il popolo a suon di esecuzioni.
Vladimir Putin, Presidente della Federazione Russa dal 2012. Credit foto Agenzia TASS, licenza CC BY 4.0
Veniamo in Italia. Un tempo nel “belpaese” per accaparrarsi voti si promettevano calciatori ai tifosi, bonus nei salari, redditi ai disoccupati “per cancellare definitivamente la povertà”, oppure si puntava il dito contro i diversi dalla massa, generalmente “mostri” incapaci di difendersi, solitamente gli immigrati, rappresentati come il male da combattere, quelli di cui viene specificata la nazionalità solo quando commettono un crimine, la fonte di ogni tipo di crisi.
Platone affermava: “una democrazia muore prima nel ridicolo che nel sangue”. Tra le varie cause della caduta del precedente Governo si può annoverare infatti la perdita di credibilità di quest’ultimo, a causa di discorsi vuoti oltre che contraddittori. “Chiudiamo ora per aprire a Natale”, “chiudiamo a Natale per salvare la Pasqua”, “chiudiamo a Pasqua per non chiudere in estate”. Poi ancora ci sono i vari “faremo”, “diremo”, “proporremo”, “vedremo”, “provvederemo”, “valuteremo”, “aiuteremo”, “ci prodigheremo”, “penseremo”. Belle parole, buoni propositi, splendidi ideali, ma nessun verbo al presente, né tanto meno al passato prossimo. Per questo ora il premier si concede alle telecamere solo a provvedimenti presi.
Dopo un anno di insuccessi “coronato” da tre ondate pandemiche, a un certo punto non è più bastato cambiare partito con una capacità camaleontica, parlare alla Nazione in pieno stile Stalin, usare i social per dirottare l’opinione pubblica come Trump contro Clinton.
Ora invece le elezioni si giocano sulla campagna vaccinale e le riaperture, ma propaganda si sposa bene con disinformazione. Ne è un esempio la televisione: luogo mistico dove alcune volte sembra tutto facile mentre in altre il mondo è già collassato. Da lunedì possono prenotarsi i quarantenni, tuttavia il decennio precedente deve ancora ricevere la prima dose. “L’Italia si vaccina” sarà il nuovo tormentone estivo, infatti dopo l’operato di Arcuri, per il quale nel pieno della terza ondata avremmo dovuto “aspettare i vaccini pazientemente”, Figliuolo sembra il “commissario straordinario” veramente straordinario, per aver avviato quanto all’estero avevano iniziato un mese prima.
Ad ogni modo gli slogan sono infiniti, uno in Italia però è immortale: “il Presidente non è eletto”, in un sistema bicamerale dove i cittadini eleggono i parlamentari, dai quali viene scelto in seguito il capo di Governo in base alla maggioranza di partito. Probabilmente a spostare qualche sondaggio potrebbe essere il reinserimento dell’educazione civica nei programmi di studio.
Passiamo allora alla scuola. La maggior parte degli studenti italiani è tornata nelle aule per rivivere un’inesistente socialità, condizionata, giustamente, da mascherine, distanziamento sociale, paura di una pandemia. Eppure molte classi sono comunque in quarantena. Forse, se in estate si fosse pensato a prevenire una seconda ondata settembrina largamente preannunciata a Maggio, anziché prodigarsi per la campagna elettorale del referendum costituzionale, gli studenti sarebbero potuti tornare in condizioni almeno decenti, in special modo i pendolari, guarda caso la maggior parte della popolazione scolastica, usata esclusivamente come strumento propagandistico.
Tutti gli alti esponenti della politica infatti si sono preoccupati del ritorno in classe, del danno formativo, delle verifiche copiate in “dad”, dei voti più importanti della salute stessa, ma nessuno si è veramente interessato delle reali condizioni degli studenti, quindi di riflesso dei professori. Lo dimostra anche il problema trasporti, ancora oggi volutamente evitato, nella più totale indifferenza.
Infine ci sono i lavoratori, i quali finalmente riprendono a fatica le attività dopo aver protestato per più di un mese sull’orlo della fame. Mentre alcuni leader di partito sembrano essere contemporaneamente sia alla maggioranza sia all’opposizione, propagandistici sono anche i criteri per le decisioni delle restrizioni, terreno fertile per gli scontri tra regioni e Governo centrale, il quale sembra aver trovato nel Ministro della Sanità un ottimo parafulmini. Ogni dichiarazione è oggetto di demagogia: dalle vacanze pasquali a Tenerife ma non nel comune di residenza da un parente o un amico stretto, fino all’attuale caos sul coprifuoco alle ventidue, come se bastasse spostarlo di un’ora per risanare l’economia.
In sunto, la propaganda non si ferma nemmeno difronte a una pandemia, quando invece si dovrebbe lavorare uniti per delle concrete ripartenze, di quelle promesse all’inizio di ogni dichiarazione di Dpcm.
Resta da chiederci, allora: qual è il valore della parola? Dipende da chi la pronuncia.
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