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La degenerazione ha ucciso la libertà d’espressione

Si può dire tutto ma allo stesso tempo non si può dire niente. Sembra un paradosso, invece è la sintesi di una società dominata dalla degenerazione del “politically correct” che ha ucciso la libertà d’espressione.

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Cosa è lecito dire in una democrazia in cui tutti possono parlare, ma nessuno può esprimere la propria opinione? Chi stabilisce i parametri della decenza? Ma soprattutto: dovremmo sottoporre a processo le parole, o le intenzioni?

di Alessandro Andrea Argeri

Credit foto Anthony Crider licenza CC BY 2.0

Si può dire tutto ma allo stesso tempo non si può dire niente. Sembra un paradosso, invece è la sintesi di una società dominata dalla degenerazione del “politically correct” che ha ucciso la libertà d’espressione. Quando il padre della satira moderna, Jonathan Swift, propose di vendere i bambini irlandesi per risanare la crisi economica, l’opinione pubblica lo applaudì. Attualmente ricordiamo questo come una delle più feroci critiche alla disuguaglianza sociale, d’altronde mangiare i bambini non è un’atrocità tanto diversa dal sfruttarli nelle fabbriche. Oggi al contrario l’associazione genitori all’autore de “I Viaggi di Gulliver” avrebbe sentenziato la pena capitale. Nella satira sono necessarie genialità, scrittura, brillantezza, in ogni caso, al di là di ogni visione, ognuno ha i propri gusti.

Il nemico da combattere però non è un mostro chiamato “politicamente corretto”, spesso confuso col “servilismo”, anche perché quando fu coniato per la prima volta il termine, si intendeva la corretta interpretazione delle leggi nel sistema repubblicano statunitense.

Diversamente è “essere corretti”. Alcune parole effettivamente oggigiorno evitiamo di pronunciarle per rispetto altrui, non per subordinazione “al potere”, non per altro in democrazia le frasi d’odio sono inammissibili. In pratica risulta chiaro come ad essere sbagliato non sia il “politicamente corretto”, ma la degenerazione di esso.

A tal proposito Fedez in RAI si indegna per la mancata approvazione del DDL Zan, tuttavia avrebbe dovuto avere la stessa reazione pure per le condizioni disumane nelle quali sono costretti a lavorare i dipendenti Amazon, di cui il cantante è sponsor con un contratto da circa un milione di euro. Tra l’altro il concertone del primo Maggio è stato organizzato proprio dai sindacati. Inoltre in Italia oltre mille persone all’anno muoiono sul lavoro, il recente caso della ventiduenne di Montemurlo risucchiata in fabbrica da un rullo ne è un esempio lampante.

Credit foto canale ufficiale licenza CC BY-SA 2.0

Certo, se i rappresentanti politici fossero almeno presenti le parole di un cantante non suonerebbero tanto epocali. Sia chiaro, l’arte ha sempre avuto un ruolo “sociale”, il rap è la denuncia sociale per eccellenza, ma Fedez non è un rapper, né un intellettuale, né un giornalista. È solo un conformista considerato anarchico per aver affermato concetti assolutamente normali. Tuttavia gli va comunque riconosciuto di essere stato “partigiano”, come affermava Aldo Moro quando incitava a prendere parte alla vita politica del Paese, poiché “politica” è l’arte di vivere insieme.

Poi ci sono Pio e Amedeo, i quali in realtà hanno fatto un monologo terribilmente conformista. Gridare certe parole in prima serata, a Mediaset, non è politicamente scorretto, lo sarebbe stato se avessero attaccato qualcuno di veramente potente, forse lo stesso patron dell’emittente televisiva… Una certezza c’è però: quando si parla di diritti umani non è questione di corretto o scorretto, ma di rispetto di esseri umani.

Ancora, negli ultimi giorni si è parlato persino di censurare “Biancaneve e i sette nani” perché “il bacio del Principe non è consensuale”. Dunque, ricapitoliamo: a fine favola la protagonista è praticamente morta, sprofondata in un sonno profondo dopo aver mangiato una mela avvelenata, solo il potere del vero amore può salvarla, però prima di tornare in vita deve concedere il permesso. “L’umorismo è l’avvertimento del senso del contrario”, affermava Pirandello, tuttavia, questa non è una barzelletta. Arrivati a questo punto, perché non pensare pure ai diritti del cavallo bianco? Mentre nella vita reale la biodiversità scompare, gli animalisti potrebbero preoccuparsi di eventuali maltrattamenti al fido destriero Disney.

La tradizione delle favole “politicamente scorrette” è lunga però, ci sono tante battaglie ancora aperte da intraprendere. Basti pensare a Riccioli d’Oro mangiata dagli orsi, Hansel e Gretel cucinati dalla strega cattiva, il Pifferaio di Hamelin adescatore di bambini, il ventre del lupo aperto dal Cacciatore per salvare Cappuccetto Rosso, senza dimenticare poi interi secoli di produzione letteraria, dall’arte classica a Baudelaire, da Machiavelli a D’Annunzio, dallo stilnovismo alla Divina Commedia. 

Bene allora! Uccidiamo le parole, restringiamo il vocabolario fin quando non sarà più possibile esprimere un pensiero di senso compiuto (in un certo senso George Orwell l’aveva previsto), censuriamo quasi tutta la nostra cultura storica, letteraria, cinematografica, chiudiamoci pure in un mondo ipocrita e bigotto, dove il problema non esiste se non se ne parla, un po’ come quando da bambini si chiudevano gli occhi difronte alla paura: se il pericolo non c’è non può farti del male. Insomma, risolviamo tutto con l’indignazione ma non con l’azione.

In fin dei conti, anche la telefonata di un servizio pubblico che prova a censurare un cantante è semplicemente vergognosa, sarà un caso se l’Italia è ultima in Europa per libertà di stampa? Forse, prima di atteggiarci ad intellettuali, dovremmo tornare a leggere il Satyricon.

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).