Cultura
Cornelia: La madre dei Gracchi
di MARIA PACE
«Haec ornamenta mea» (Ecco i miei gioielli)
Chi non conosce questa frase?
E ’un’espressione che l’autore latino Valerio Massimo riportò nel suo: “Factorum ac dictorum memorabi- lium libri IX ” (Nove libri di fatti e detti memorabili)
In realtà, la frase non era esattamente così, ma era la seguente: ”Haec… ornamenta sunt mea”
Conosciamo la passione quasi sfrenata delle matrone romane per il lusso e i gioielli e questa famosa locuzione ne indica bene lo spirito.
Ma vediamo in quale contesto fu pronunciata.
Si trovava, ospite di una nobile matrona romana, un gruppo di amiche ed una di loro, mostrando i numerosi gioielli di cui era letteralmente coperta, chiese alla sua ospite di illustrarle le vesti e i gioielli di cui amava adornarsi.
L’abbigliamento della matrona, invero, era assai sobrio e meno appariscente di quello delle sue ospiti. Tuttavia, fece chiamare da un servo i suoi due figli che giocavano poco discosto, in giardino, e in tono pacato e gentile recitò la famosa frase destinata a diventare immortale nei secoli a venire.
Il nome di questa domina romana era Cornelia Afri-cana, figlia minore del grande condottiero Publio Cor-nelio Scipione Africano (antagonista e vincitore di Annibale), nonché, madre dei Gracchi.
Ma chi era questa donna da sempre considerata la madre ideale, espressione e simbolo di grande orgo-glio materno, orgoglio di madre che andò anche oltre i confini della morte e del tempo? Questa donna che, dopo la morte del marito, avvenuta che lei aveva circa 35 anni, si dedicò completamente alla cura dei figli, rifiutando rispettabilissime richieste di matrimonio; questa donna che rifiutò perfino le nozze con il fara-one Tolomeo VIII e la possibilità di diventare Regina d’Egitto. Questa donna che, per spronare i figli a com-piere azioni grandiose, diceva, secondo quanto riporta Seneca:
“Fino a quando m’indicheranno come la figlia di Scipione? Quando potrò chiamarmi la madre dei Gracchi?”
Ma anche i Gracchi, come Scipione, la coprirono di orgoglio. I fratelli Gracchi, Tiberio e Caio, furono i primi a porsi il problema della ridistribuzione dell’ager publicus, ossia, il demanio pubblico, sostenendo che andava sottratto a coloro i quali se ne erano abusivamente impossessati e ridistribuito in piccoli lotti alle famiglie di contadini. Iniziò Tiberio, il fratello maggiore, eletto Tribuno della Plebe nel 133. L’anno successivo, a seguito di violenti tumulti, egli venne ucciso. Dieci anni dopo, però, nel 123° a.C. ecco candidarsi il fratello Caio e la sua era un’autentica sfida ai potenti ed ai latifondisti. I due fratelli erano diversi per carattere e aspetto fisico, ma uniti da una stessa passione politica e da una cultura riformista ricevuta proprio dalla madre che, oltre a curare la loro educazione, ne seguì la carriera politica e rimase al loro fianco sostenendo il loro pro-gramma di riforme.
Cicerone racconta che Caio ricevette una notte in sogno la “visita” di suo fratello che così gli disse: “Perché indugi, o Caio? Non puoi esimerti: a noi due è destinata la stessa vita e la stessa morte nella lotta per il bene del popolo”.
Anche Caio cadrà per difendere quell’ideale di giustizia sociale. Nel 122 a.C. il Senato ordinò di reprimere i disordini provocati dai sostenitori di Caio.
Licinia, la moglie, riferisce Plutarco, consapevole del pericolo cui andava incontro, lo implorò di restare a casa, ma Caio si recò disarmato sull’Aventino e, incalzato dagli avversari si fece uccidere dal fedele schiavo Filocrate. Alla moglie Licinia ed alla madre Cornelia, venne imposto di non manifestare dolore per quella perdita e venne negato perfino il diritto di onorarne la memoria portando il lutto.
Presentata da Plutarco e da altri autori come una donna di temperamento, forte carattere e grande personalità, a chi la commiserava per la sorte dei figli, secondo quanto riportato da Seneca lei rispondeva: “Mai dirò che non è stata fortunata la madre dei Gracchi!”.
Andò sposa ancor giovanissima, forse soli 15 anni a Tibrio Sempronio Gracco, per facilitare una riconciliazione con Scipione, di cui era avversario. Uomo nobile e rispettabile, Tiberio era ben più anziano di lei ma, nonostante la differenza di età, la loro unione risultò solida e felice. Si racconta di un episodio significativo ed a raccontarlo sono in di-versi, Plutarco, Valerio Massimo e ancor prima Cicerone nel suo De Divinatione. Si parla di Caio Gracco e di un episodio di cui egli scrisse ad un amico, accaduto nella sua famiglia prima ancora della sua nascita, ma rimasto profondamente impresso nella memoria familiare perché precedette la morte del padre, a cui venne associato. Egli racconta dell’apparizione di due serpenti nella casa paterna, episodio, dalla dimensione divina e sopran-naturale, interpretato come presagio di morte di uno dei coniugi. Tiberio scelse di uccidere il maschio e lasciar vivere la femmina e quindi la moglie, assai più giovane di lui.
Cresciuta in una delle famiglie più importanti, raffinate e colte della storia romana d’età repubblica-na, Cornelia rivestì un ruolo importante nella vita sociale e culturale del suo tempo. Donna di straordinaria cultura ed intelligenza, soprattutto dopo la morte dei figli, quando si ritirò in una villa presso Capo Miseno, secondo quanto riportato da Plutarco, «fu circondata sempre da Greci e da letterati (…) raccontava la vita e la condotta del padre, l’Africano, ed era ammirevole quando raccontava a chi glielo chiedeva le sventure e le imprese dei figli, ricordandoli senza manifestazioni di dolore e senza lacrime, come se si trattasse di personaggi delle età antiche».
Divenne in seguito esempio di madre e matrona ideale e, ancora in vita, le venne dedicata una statua nel Foro, la prima esposta in pubblico di una donna, recante la seguente epigrafe :
“Cornelia Africani F. Gracchorum” (Cornelia, figlia dell’Africano, madre dei Gracchi)
Anche Dante la cita nella sua Divina Commedia e la colloca tra gli Spiriti Eletti del Limbo.