27 Ottobre 2025
La democrazia nei Comuni italiani funziona davvero? Analisi di un sistema in crisi
Analisi critica sul funzionamento della democrazia nei comuni italiani dopo il 1993. Focus sull’elezione diretta del Sindaco e sulla necessità di maggiore democrazia diretta locale.

Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Chiedersi se la democrazia nei comuni italiani funzioni può sembrare una provocazione inutile. Siamo una democrazia, e i principi democratici regolano l’assetto politico e amministrativo delle nostre municipalità. Ma, a ben vedere, un grande “ma” persiste.
Nel 1993 è stata introdotta l’elezione diretta del Sindaco. I cittadini scelgono direttamente il primo cittadino e, se questi si dimette, l’intero Consiglio comunale viene sciolto. Questo meccanismo, pur garantendo il pieno rispetto della volontà popolare, ha un rovescio della medaglia:
Abbiamo ottenuto l’indubbia stabilità amministrativa, ma al costo di una potenziale perdita del confronto interno alla maggioranza.
L’uomo solo al comando: il rapporto tra Sindaco e il Consiglio
Nella Prima Repubblica, le correnti interne ai partiti erano percepite come elementi di destabilizzazione e clientelismo. Tuttavia, esse garantivano anche un confronto di idee vitale. La nostra Repubblica è nata e strutturata per evitare la figura dell’uomo solo al comando, sia a livello centrale che locale.
Dopo il 1993, invece, le amministrazioni locali vedono spesso un Sindaco in primo piano, con il Consiglio Comunale che rischia di diventare una semplice figura di ratifica acritica delle decisioni del primo cittadino.
Questo fenomeno è ancora più evidente nei Comuni più piccoli, dove la minaccia di elezioni anticipate viene usata come un vero e proprio spauracchio politico.
A ciò si aggiunge il cambiamento nel ruolo del Segretario Comunale: un tempo rappresentante del Ministero dell’ Interno, oggi è una figura scelta direttamente dal Sindaco e spesso operante in regime di part-time.
La crisi della democrazia rappresentativa locale
A prescindere dalla popolazione, in ogni Comune vige la democrazia rappresentativa. Gli elettori scelgono Sindaco e consiglieri ma, per i successivi cinque anni, il coinvolgimento nelle decisioni è quasi nullo.
Se questo meccanismo può avere una sua logica nei Comuni “grandi” (pur con auspicabili eccezioni per le decisioni più impattanti sulla comunità), ha poco senso nei Comuni medio-piccoli. Cinque anni sono un tempo lunghissimo, e l’atto del voto si trasforma in una sorta di cambiale in bianco.
Il cittadino diventa un mero spettatore di decisioni che, letteralmente, paga di tasca sua.
Che fiducia posso avere nel Parlamento se nel mio Comune di 2.000 abitanti non posso decidere nulla?
Questa sfiducia, unita alla limitata possibilità di intervento delle opposizioni nei Consigli Comunali, alimenta l’astensionismo allarmante che mina la nostra democrazia a tutti i livelli. L’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri non risolverebbe il problema, poiché la radice della crisi è un’altra.
Più democrazia diretta, a partire dai Comuni
Il cittadino-elettore deve poter intervenire nel processo decisionale, non limitarsi a votare ogni cinque anni.
È necessaria molta più democrazia diretta. Un percorso che può e deve partire proprio dai Comuni.
Con l’introduzione di:
- Referendum abrogativi: che possano bloccare o cancellare, in determinati campi, delibere del Consiglio Comunale e della Giunta.
- Sedute aperte del Consiglio Comunale: dove i cittadini possano intervenire attivamente, fare domande e portare proposte.
- Sfiducia costruttiva locale: prevedere la sfiducia del Sindaco (con una maggioranza qualificata) senza lo scioglimento del Consiglio Comunale, ristabilendo il ruolo di controllo dell’assemblea elettiva.
Il consenso popolare espresso dagli elettori non può essere interpretato come l’approvazione tacita di ogni singola decisione che verrà presa nei cinque anni a venire. La democrazia va vissuta nel quotidiano; altrimenti, perde pericolosamente il suo valore.
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