24 Novembre 2025
Negare il femminicidio. Sociologia di un complottismo misogino nell’ecosistema digitale contemporaneo

Di Maddalena Celano
Il negazionismo del femminicidio è un fenomeno emergente nelle subculture digitali italiane e internazionali, caratterizzato da forme di paranoia politica, distorsione cognitiva, epistemologia del sospetto e forte radicamento in ideologie misogine e complottiste di matrice alt-right. Il presente saggio analizza la struttura discorsiva del negazionismo, le sue basi sociali, le sue dinamiche digitali ed emotive, e il suo rapporto con la radicalizzazione online. L’analisi si fonda su studi di sociologia della conoscenza, della violenza di genere, dei movimenti reazionari e delle culture digitali.
1. Introduzione: quando la negazione diventa fenomeno sociale
Il negazionismo del femminicidio non è un fenomeno marginale né un semplice prodotto della disinformazione. È una contro-narrativa strutturata, costruita per negare la dimensione sistemica della violenza maschile contro le donne e per riaffermare un modello patriarcale messo in crisi dall’avanzamento dei diritti femminili.
Questa forma di negazione assume spesso caratteri paranoici e complottisti: la convinzione che i dati siano “manipolati”, che il femminismo sia una “dittatura”, che esista un complotto misandrico internazionale, sono elementi ricorrenti nei discorsi che proliferano nei social network, nei gruppi Telegram, nei forum di estrema destra e nelle comunità della manosphere.
Da un punto di vista sociologico, tali narrative emergono in un contesto segnato da:
● crisi della mascolinità tradizionale (Connell 1995),
● polarizzazione digitale (Sunstein 2018),
● proliferazione di epistemologie cospirative (Barkun 2013),
● sfruttamento politico del risentimento maschile (Kimmel 2013).
2. La distorsione cognitiva: individualizzare per negare la struttura
La prima strategia dei negazionisti è ridurre il femminicidio a casi individuali, negandone la dimensione collettiva, sistemica e culturale.
È un processo noto nelle scienze sociali:
l’individualizzazione del fatto sociale (Durkheim 1895).
Si produce così una narrazione in cui:
● ogni omicidio è un “raptus”,
● la violenza non ha radici storiche o culturali,
● il patriarcato “non esiste”,
● la categoria “femminicidio” è “invenzione ideologica”.
Questa dinamica è tipica dei movimenti reazionari che negano fenomeni sistemici (violenza di genere, razzismo, disuguaglianze strutturali).
Il risultato è una cecità selettiva: si vedono gli alberi, mai la foresta.
3. “I dati sono gonfiati”: la epistemologia del sospetto
La seconda strategia centrale è delegittimare i dati.
Ogni fonte — istituzionale, accademica, giudiziaria — viene percepita come sospetta o collusa. È un modello che ricorda i tratti fondamentali del complottismo contemporaneo (Barkun 2013).
Si tratta di un sistema di pensiero basato su:
● sfiducia radicale nelle istituzioni,
● rifiuto del metodo scientifico,
● sostituzione della prova empirica con il sospetto emotivo,
● costruzione di una “verità alternativa”.
In questo quadro discorsivo, i dati ISTAT, ONU, OMS, Ministero dell’Interno vengono interpretati come “strumenti del potere femminista”.
Una narrazione grottesca, ma efficacissima dentro comunità che esistono grazie a legami di appartenenza, non di verità.
4. Il feticcio statistico: “muoiono più uomini”
Uno degli argomenti più ricorrenti è il confronto tra:
● tutti i morti uomini (per suicidi, incidenti, omicidi, guerre, malattie, criminalità comune)
e
● i femminicidi, categoria giuridica e sociologica specifica che identifica omicidi motivati dal genere.
Si tratta di un errore di categoria (Searle 1995):
mettere a confronto entità non comparabili.
Da un punto di vista metodologico, è un esempio da manuale di fallacia statistica: si confrontano insiemi diversi, con cause diverse, e si trae una conclusione ideologica (“gli uomini sono le vere vittime”).
Questo tipo di “statistica comparata” è in realtà un prodotto di propaganda digitale, non di analisi empirica.
5. La fantasia del complotto misandrico: mascolinità ferita, paranoia politica
Molti negazionisti sostengono che i femminicidi siano una “invenzione femminista” creata da:
● media,
● ONG,
● magistratura,
● università,
● governi,
● Unione Europea.
Qui emerge una dimensione paranoica studiata nel campo della psicologia sociale e dei movimenti estremisti.
È il fenomeno che Kimmel (2013) definisce “mascolinità risentita”, tipico di uomini che percepiscono l’avanzamento femminile come una perdita di status personale.
La narrativa diventa così:
● le donne “dominano la società”,
● gli uomini sarebbero “oppressi”,
● la cultura contemporanea sarebbe “misandrica”.
Siamo davanti a un vero e proprio rovesciamento simbolico: la vittima diventa colpevole, il colpevole vittima.
È un meccanismo già osservato in altri movimenti reazionari (Hochschild 2016).
6. L’ecosistema digitale: algoritmi, camere dell’eco, radicalizzazione
Il negazionismo del femminicidio prospera negli spazi digitali per ragioni strutturali:
● gli algoritmi privilegiano contenuti emotivi, sensazionalistici e polarizzanti;
● le camere dell’eco (echo chambers) rinforzano convinzioni preesistenti (Sunstein 2001);
● la logica della “virality” premia la disinformazione, non la complessità;
● la manosphere internazionale (Red Pill, MGTOW, Incel) fornisce un repertorio ideologico pronto all’uso.
Qui, la misoginia diventa identity marker, un tratto distintivo del gruppo, e il negazionismo del femminicidio funge da collante ideologico.
7. Perché questo negazionismo è socialmente pericoloso
Non è un fenomeno solo linguistico o retorico.
Produce effetti reali:
● banalizza la violenza contro le donne;
● delegittima le politiche pubbliche di prevenzione;
● normalizza la misoginia;
● fomenta l’odio digitale contro attiviste, giornaliste, sopravvissute;
● alimenta la radicalizzazione maschile estremista.
Il negazionismo del femminicidio è dunque una minaccia per la salute democratica e culturale della società.
Ed è anche un tentativo di ristabilire gerarchie di genere che la storia sta, lentamente, smantellando.
Conclusione
Smontare il negazionismo del femminicidio non è un esercizio teorico: è una responsabilità politica, etica e civile.
La lotta contro questo fenomeno è anche una lotta per una cultura pubblica più razionale, informata e libera dalla violenza simbolica.
L’ironia amara può essere uno strumento efficace: non per ridicolizzare l’argomento, ma per rivelarne l’assurdità intrinseca.
E perché contro la paranoia organizzata, la lucidità critica deve essere anche capace di svelare il ridicolo.
Note bibliografiche
● Barkun, M. (2013). A Culture of Conspiracy: Apocalyptic Visions in Contemporary America. University of California Press.
● Connell, R. W. (1995). Masculinities. University of California Press.
● Durkheim, É. (1895). Le Règles de la méthode sociologique. Paris: Alcan.
● Hochschild, A. (2016). Strangers in Their Own Land: Anger and Mourning on the American Right. The New Press.
● Kimmel, M. (2013). Angry White Men: American Masculinity at the End of an Era. Nation Books.
● Searle, J. (1995). The Construction of Social Reality. Free Press.
● Sunstein, C. (2001). Echo Chambers: Bush v. Gore, Impeachment, and Beyond. Princeton University Press.
● Sunstein, C. (2018). #Republic: Divided Democracy in the Age of Social Media. Princeton University Press.

