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16 Novembre 2025

Italiani alla guerra per gioco: l’inchiesta sui “cecchini del weekend” a Sarajevo

La Procura di Milano indaga su un presunto turismo di guerra negli anni ’90: cittadini italiani avrebbero pagato per sparare ai civili durante l’assedio di Sarajevo. Una storia che riapre vecchie ferite e solleva interrogativi sulla memoria europea.

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Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Era il 5 dicembre 2018 quando andava in onda l’episodio “Caccia grossa” https://www.raiplay.it/video/2018/11/L-ispettore-Coliandro-S7E4-Caccia-grossa-9530b2ab-cd20-4fd7-88f4-a25443ef3835.html della serie televisiva “L’ispettore Coliandro”. Episodio basato su alcuni personaggi che pagavano per dare la caccia e uccidere esseri umani. Sembrava una trama frutto della fantasia di Carlo Lucarelli e dei Manetti Bros. Invece…

La notizia, vera, è di quelle che colpiscono per la loro crudezza: la Procura di Milano ha aperto un fascicolo d’indagine su un gruppo di cittadini italiani sospettati di aver partecipato, tra il 1992 e il 1995, a “spedizioni” in Bosnia durante l’assedio di Sarajevo per sparare ai civili dalle colline intorno alla città. Li chiamano i “cecchini del weekend”, uomini che – secondo le testimonianze raccolte – avrebbero pagato per provare “l’ebbrezza del tiro in guerra”.

L’indagine nasce da un esposto presentato dallo scrittore Ezio Gavazzeni, assistito dall’ex magistrato Guido Salvini e dall’avvocato Nicola Brigida. Gavazzeni ha raccolto negli ultimi anni una serie di testimonianze provenienti da ex membri dei servizi segreti bosniaci, giornalisti locali e militari di stanza durante il conflitto.

A spingere la magistratura a muoversi è stato anche l’eco del documentario “Sarajevo Safari” del regista sloveno Miran Zupanič, presentato nel 2022, che denunciava la presenza di “turisti della guerra” stranieri – europei, americani e anche italiani – ammessi a sparare ai civili da postazioni controllate dalle forze serbo-bosniache.

Il pubblico ministero Alessandro Gobbis, della Procura di Milano, ha aperto un fascicolo per omicidio volontario aggravato, al momento contro ignoti.

Si tratterebbe di un turismo della morte organizzato in piena guerra, con prezzi e logistica. I bambini costavano di più, gli uomini in divisa di meno. Una follia documentata da più fonti che oggi trova spazio nelle carte di un’inchiesta ufficiale.

Secondo l’esposto, i “safaristi” partivano dall’Italia settentrionale, spesso da Trieste, Milano o Torino, e raggiungevano Belgrado con voli charter della compagnia serba Aviogenex. Da lì, scortati da intermediari locali, si spostavano verso le colline sopra Sarajevo, nelle aree controllate dalle truppe serbo-bosniache del generale Ratko Mladić.

Una volta arrivati, venivano dotati di fucili di precisione e munizioni, e conducevano vere e proprie “battute di caccia” contro civili inermi. Le tariffe – secondo un presunto listino – variavano in base al bersaglio. Uccidere un bambino, secondo le testimonianze, “costava di più”.

L’ipotesi di “turisti della guerra” non è nuova. Durante e dopo l’assedio (1992-1996) circolarono voci su stranieri che partecipavano alle sparatorie. Tuttavia, mancavano prove concrete e i governi occidentali evitarono di approfondire.

Oggi, trent’anni dopo, nuove testimonianze e documenti – tra cui rapporti dell’intelligence bosniaca e dichiarazioni di ex ufficiali – hanno portato la vicenda davanti alla giustizia italiana. Le autorità di Sarajevo avrebbero già espresso disponibilità a collaborare con i magistrati milanesi attraverso rogatorie internazionali.

Un ex agente dei servizi bosniaci, citato nell’esposto, afferma di aver informato il SISMI già nel 1993 della presenza di italiani sulle linee dei cecchini, ma «nessuno volle indagare».

L’inchiesta è in fase preliminare e non esistono ancora imputati nominativi. Le procure italiane, secondo fonti investigative citate da ANSA e La7, stanno lavorando per ricostruire l’identità dei partecipanti e verificare la presenza di riscontri nei registri di volo e nei documenti militari dell’epoca.

Le principali fonti giornalistiche che hanno rilanciato la notizia sono:

ANSA (10 novembre 2025)

TG La7

El País

Unione Sarda

Tutte confermano l’apertura formale dell’indagine e la collaborazione tra Milano e Sarajevo.

Il caso dei “cecchini del weekend” tocca nervi scoperti della storia recente.

Per la Bosnia, dove ancora oggi si contano oltre 11 000 vittime dell’assedio, la notizia è una riapertura di ferite mai chiuse.

Per l’Italia, è un confronto con un lato oscuro della propria memoria collettiva, tra avventurismo, estremismo e complicità silenziose.

La Procura milanese non ha ancora reso noti i risultati delle prime verifiche. Ma il fascicolo resta aperto, e le rogatorie internazionali sono in corso.

Tra accuse, memoria e giustizia, l’indagine sui “cecchini del weekend” promette di riaprire uno dei capitoli più oscuri della guerra nei Balcani — e forse di mettere in discussione l’idea stessa di come l’Europa abbia guardato, troppo a lungo, dall’altra parte.

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