12 Ottobre 2025
Arce, 1 giugno 2001. La condanna possibile, ma fragile, nel processo bis
Il nuovo processo che comincerà in Corte d’Assise d’Appello (udienza fissata a ottobre, secondo le comunicazioni di calendario) dovrà stabilire se la ricostruzione tecnica e le contraddizioni ricostruite dagli atti riusciranno a convincere un nuovo collegio che, oltre al “dove” e al “come”, si può arrivare a un “chi” giudicabile oltre ogni ragionevole dubbio.

Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Era un giorno d’inizio estate quando Serena Mollicone scomparve. A oltre vent’anni di distanza, la sua tragica morte rimane un nodo irrisolto di accertamenti tecnici, omissioni e contraddizioni. La vicenda è tornata in aula nel 2021 con l’introduzione di nuove perizie e grazie al lavoro investigativo dei carabinieri del comando provinciale di Frosinone guidati dal colonnello Fabio Cagnazzo.
Nello scorso mese di marzo la decisione della Corte di Cassazione di riaprire il dibattimento d’appello, disponendo il cosiddetto “Appello bis” dopo due assoluzioni.
L’ipotesi accusatoria, così come ricostruita dalla Procura di Cassino e affinata negli anni recenti dagli accertamenti scientifici, include diversi elementi che, se uniti, spiegano perché un nuovo processo possa potenzialmente condurre a condanne. Tuttavia, sul tavolo restano ancora piste alternative e significative zone d’ombra, come la mancanza di movente e di una spiegazione per l’accesso di Serena negli alloggi della caserma, che giustificano la prudenza dei giudici.
Le perizie tecniche: Il cuore dell’accusa
Il fulcro dell’accusa contro i Mottola è costituito dai risultati degli esami disposti nel 2016. La riesumazione della salma e le analisi condotte dal LABANOF (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense) e dai RIS (Reparto Investigazioni Scientifiche) hanno prodotto elementi che localizzano l’evento lesivo — il trauma cranico e la successiva asfissia — all’interno della caserma dei Carabinieri di Arce.
La perizia medico-legale di Cristina Cattaneo (LABANOF) e i successivi rilievi del RIS hanno messo in luce tracce compatibili con l’impiallacciatura e la vernice di una porta della foresteria della caserma, oltre ad altre microtracce rinvenute sulla salma e sul nastro adesivo che avvolgeva il volto di Serena.
Questi riscontri tecnici rappresentano la pietra angolare dell’impianto accusatorio: se il giudice riterrà attendibili le analisi, la caserma diventa il probabile luogo del delitto.
In un processo penale moderno, la precisa collocazione del luogo dell’evento è spesso decisiva. Collegare materiali specifici (vernici, resine, fibre) e oggetti (il nastro adesivo) a un ambiente circoscritto consente di ricostruire una sequenza di spostamenti e responsabilità che va oltre le sole testimonianze. Se la correlazione tecnico-scientifica regge, anche la catena degli eventi ipotizzata dalla Procura (colluttazione in caserma, trauma sulla porta, asfissia e occultamento di cadavere) acquista maggiore credibilità.
La perizia del LABANOF (dopo la riesumazione del 2016 e la relazione depositata nel 2017) ha riaperto questioni cruciali, documentando il danno cranico compatibile con un colpo o una frizione su un elemento rigido e identificando l’asfissia come meccanismo finale della morte.
I RIS, nelle loro relazioni, segnalarono centinaia di microtracce. Una parte di queste è stata ritenuta compatibile con materiali presenti in caserma (come i residui della porta e dell’impiallacciatura). La Procura ha utilizzato le misurazioni sul corpo e la loro corrispondenza con segni e scalfitture su elementi della caserma per presentare un quadro coerente con una colluttazione. La logica è chiara: se il trauma è compatibile con una porta della caserma e il nastro che ha soffocato la vittima è compatibile con materiali di quel contesto, il passaggio probatorio che connette il luogo all’autore diventa più agevole.
Va specificato che la difesa ha vigorosamente contestato questi accertamenti (gli esperti difensivi, coordinati dal Prof. Carmelo Lavorino, hanno sollevato dubbi su corrispondenze metriche e interpretazioni). Tuttavia, il fatto che la Corte di Cassazione abbia ritenuto le motivazioni dell’assoluzione di secondo grado contraddittorie o insufficienti, ordinando un Appello-bis, è un segnale inequivocabile che alcuni nodi probatori necessitano di un nuovo e attento esame. La speranza è che una consulenza tecnica disposta dalla nuova Corte d’Assise d’Appello possa finalmente eliminare ogni dubbio.
La testimonianza chiave e il mistero Tuzi
Accanto alle evidenze tecniche, le indagini hanno registrato una testimonianza fondamentale, quella di Santino Tuzi. Il carabiniere aveva inizialmente dichiarato di aver visto Serena Mollicone nella caserma di Arce, per poi ritrattare e successivamente ritrattare la ritrattazione confermando l’avvistamento. Infine si uccide, come pacificamente accertato dalla Procura di Cassino, con la sua pistola d’ordinanza.
La testimonianza di Santino Tuzi è un punto cruciale, sebbene non sia “granitica” come talvolta viene descritta. Esistono contraddizioni e non è stata trovata alcuna prova di pressioni o minacce dirette. In particolare, una querela presentata dallo stesso Tuzi nel giugno 2007 solleva dubbi sul suo avvistamento, la mattina del 1° giugno 2001, di Serena Mollicone.
La figura di Santino Tuzi sarà approfondita nel processo d’Appello bis, con l’obiettivo, a differenza dei gradi di giudizio precedenti, di analizzare più a fondo le cause reali del suo suicidio.
Dato che è escluso che Tuzi abbia ucciso Serena (non era in caserma durante l’ipotizzato omicidio, e l’assoluzione di Vincenzo Quatrale dall’accusa di aver falsamente attestato un alibi per se stesso e per Tuzi è definitiva), e considerando l’assenza di un movente sentimentale convincente o di minacce documentate, la ragione del suo gesto estremo resta un quesito irrisolto e processualmente rilevante.
In sede di dibattimento, una dichiarazione ritenuta attendibile, se corroborata dalle prove scientifiche, può completare il quadro: la prova tecnica stabilisce il “dove” e il “come”, mentre le dichiarazioni possono contribuire a definire il “chi” e il “perché”.
Il ruolo della Cassazione e le piste alternative
La Suprema Corte, va ricordato, non ha stabilito la colpevolezza degli imputati. Ha invece espresso un giudizio critico sulle motivazioni che hanno portato alle assoluzioni in appello, ritenendole contraddittorie o incomplete, e ha disposto il rinvio per un nuovo giudizio. Questo è di cruciale importanza, poiché obbliga un diverso collegio giudicante a riesaminare con estrema attenzione le prove tecniche e le motivazioni. Quando la motivazione di un’assoluzione viene giudicata debole da un organo superiore, aumenta per gli imputati il rischio che in un nuovo processo emerga una diversa valutazione della stessa prova.
Il processo non si è svolto in un vuoto investigativo: negli anni sono state aperte e successivamente scartate diverse piste. In passato, ad esempio, Carmine Belli fu assolto dall’accusa di aver ucciso Serena.
La complessità delle indagini — con ritrattazioni, il suicidio inquietante di Tuzi e anni di omessi riscontri — ha fatto sì che diversi soggetti siano stati ipotizzati come possibili autori o complici.
Le motivazioni della prima sentenza e alcuni servizi giornalistici hanno mantenuto viva l’ipotesi di “soggetti terzi rimasti ignoti”. Questa possibilità è supportata, ad esempio, dalla presenza di impronte digitali che non corrispondono a quelle degli imputati. Tale scenario spiega perché, nonostante la presenza di elementi tecnici forti, raggiungere la certezza probatoria piena resti difficile: la prova deve non solo collegare luogo e dinamica, ma connettere in modo incontrovertibile anche l’autore al delitto.
Il nuovo appello ordinato dalla Cassazione non è un punto di arrivo, ma un bivio fondamentale: confermare le assoluzioni, riformarle o arrivare a una condanna dipenderà dalla capacità del Pubblico Ministero di far dialogare efficacemente le due grandi categorie di prova: la scientifica (perizie Labanof, analisi RIS, corrispondenze materiali) e la fattuale/comportamentale (dichiarazioni, alibi, omissioni).
Un elemento rilevante è che la Cassazione ha esplicitamente richiesto, in sede di rinvio al nuovo collegio, di esplorare e motivare anche dinamiche alternative a quella ipotizzata dalla Procura. Soprattutto in caso di una nuova assoluzione.
Una dinamica alternativa o integrativa in realtà esiste e fa parte degli atti d’inchiesta, con l’indicazione di luoghi e piste alternative. L’attenzione si sposterà ora sulla strategia della difesa della famiglia Mottola: valorizzeranno questa ipotesi alternativa?
La storia processuale dell’omicidio di Serena Mollicone è intessuta di incertezze — testimoni che ritrattano, prove tardivamente analizzate, piste alternative mai chiuse definitivamente — e tutto ciò giustifica la prudenza dei giudici. E anche la nostra.
RIPRODUZIONE RISERVATA ©
