08 Dicembre 2025
Tra il Vangelo e l’Impero: il Papa, Trump e la guerra contro il Venezuela
Spetta alle comunità cattoliche di base, ai movimenti sociali legati alla Chiesa, ai teologi della liberazione che ancora resistono, chiedere al loro leader spirituale una postura che sia veramente all’altezza del Vangelo che rappresenta.

Di Marlene Madalena Pozzan Foschiera
Quando un Papa parla di guerra e pace in America Latina, non sta semplicemente commentando la congiuntura. Sta toccando vite molto concrete, paesi che da decenni vengono trattati come cortile di casa dagli Stati Uniti. Per questo, la recente dichiarazione di Leone XIV – durante la sua visita in Turchia nella prima settimana di dicembre 2026, suggerendo che, invece di attaccare militarmente il Venezuela, Washington potrebbe ricorrere al “dialogo” o alla “pressione economica” – non è un semplice lapsus linguistico. È una presa di posizione.
Perché, diciamolo chiaramente: la guerra è già in corso, ed è proprio economica.
Democrazia per chi?
Gli stessi Stati Uniti che si presentano al mondo come “culla della democrazia” hanno una lunga storia di colpi di stato, invasioni, sabotaggi e blocchi contro l’America Latina e i Caraibi. Cuba e Venezuela sono solo gli obiettivi del momento di una lista che passa per Guatemala, Cile, Nicaragua, El Salvador, Brasile, Bolivia, Honduras e tanti altri.
La stampa egemonica insiste nel ripetere, come un mantra, che Cuba e Venezuela sono “dittature”. Parte della sinistra mondiale dissente da questa etichetta o, quantomeno, si rifiuta di accettarla ripetendo il vocabolario del Dipartimento di Stato. E c’è un motivo semplice: chi deve discutere i problemi del Venezuela sono i venezuelani. Nessun altro. A meno che il Venezuela non inizi a invadere paesi, imporre il suo regime ad altri popoli, bombardare città o soffocare economie intere – e non è questo che è in gioco.
Ciò che è in gioco, in fondo, è un’altra cosa molto concreta: il petrolio.
Il “crimine” del Venezuela, agli occhi di Washington, è sedere su una delle maggiori riserve comprovate di petrolio del mondo senza sottomettersi agli interessi degli Stati Uniti. È questo che Trump desidera controllare – non la democrazia, non i diritti umani, non la libertà di nessuno. Il discorso morale è solo la confezione rispettabile di una vecchia bramosia: garantire l’accesso privilegiato a una ricchezza energetica strategica.
Dittatura è un’altra cosa. Dittatura è:
- imporre sanzioni che condannano un popolo alla fame;
- bloccare conti, impedire transazioni, bloccare importazioni di medicine e alimenti;
- decidere, da Washington, chi può o non può essere governo a Caracas o L’Avana;
- invadere mari, cieli e frontiere con la scusa logora di “combattere il narcotraffico”;
- congelare i beni di un paese sovrano e riconoscere come legittimo qualsiasi oppositore che accetti di sottomettersi agli interessi del Pentagono.
Chi uccide di fame e di malattia in nome dei “diritti umani” non ha autorità morale per chiamare nessuno dittatore.
La “pressione economica” è guerra
Quando il Papa suggerisce che, invece delle bombe, gli Stati Uniti usino la “pressione economica”, sta, in pratica, accettando come legittimo lo strumento più efficace della guerra contemporanea: il blocco finanziario e commerciale.
Chiamiamo le cose con il loro nome:
- congelare i beni di un paese;
- impedire al governo di comprare attrezzature, medicine, alimenti;
- minacciare altri Stati che osino negoziare con il Venezuela;
- strangolare la vendita della sua principale risorsa – il petrolio – per forzare un cambio di governo…
Tutto questo è guerra. Solo che non appare in foto di edifici che esplodono, non produce immagini spettacolari per la televisione. Ma distrugge ospedali, svuota frigoriferi, spinge milioni alla migrazione forzata. È una guerra contro la popolazione civile, condotta in silenzio, con fogli di calcolo e firme.
Secondo i dati della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL) e rapporti di organizzazioni umanitarie, le sanzioni imposte al Venezuela dal 2017 hanno provocato un calo di oltre il 90% nelle entrate da esportazione di petrolio, hanno limitato drammaticamente l’accesso a medicinali essenziali e hanno contribuito al collasso dei sistemi sanitari di base. Studi indipendenti stimano che decine di migliaia di morti possano essere correlate alla scarsità di cure mediche e alla malnutrizione aggravata dall’assedio economico.
Quando il Papa pone “dialogo” e “pressione economica” come due opzioni ugualmente legittime, solo più “civilizzate” di un’invasione, sta normalizzando questo tipo di violenza. Anche se non è stata sua intenzione, l’effetto politico è questo: dare una sorta di sigillo morale alla strategia di Trump di soffocare il Venezuela finché non si inginocchi – e, per giunta, garantire il controllo delle sue riserve petrolifere.
Il Papa sa da dove veniamo
Leone XIV non è un ignorante sul dolore latinoamericano. Nato negli Stati Uniti, ma con decenni di azione pastorale in Perù, conosce i colpi di stato, le dittature, la repressione. Sa cosa hanno significato, per i nostri popoli, i regimi appoggiati dal Pentagono, dalla CIA e dai governi europei. Conosce le storie di contadini scomparsi, di sindacalisti torturati, di comunità schiacciate in nome dell'”ordine” e del “mercato”.
Proprio per questo, la sua dichiarazione è ancora più grave.
Un Papa che viene dalla nostra storia, che sa cos’è stata l’Operazione Condor, che ha ascoltato racconti di persecuzione politica e di miseria prodotta da politiche di “aggiustamento” imposte dall’esterno, non può trattare le sanzioni economiche come se fossero un dettaglio tecnico di politica estera. Non lo sono. Sono lo strumento dell’Impero per rovesciare governi indesiderati senza dover mandare i marines.
È inaccettabile che, di fronte a un’offensiva aperta di Trump contro il Venezuela – con minacce, sanzioni, accuse senza prove e la bramosia dichiarata per il petrolio venezuelano – il Papa non abbia trovato parole chiare per denunciare il vero aggressore: gli Stati Uniti.
Il problema non è “un lapsus”
Qualcuno potrebbe dire: è stata solo una frase mal formulata, un lapsus. Non lo è stato. Chi occupa la posizione di capo di Stato del Vaticano e leader di oltre un miliardo di cattolici nel mondo non parla “per caso” di guerra, sanzioni e sovranità.
Il minimo che ci si aspetta da una leadership con questa portata è:
- chiarire che nessun paese ha il diritto di cambiare il governo di un altro paese con la forza – né militare, né economica;
- affermare che la fame, la miseria e il collasso sociale provocati dalle sanzioni sono incompatibili con il Vangelo che dice di difendere;
- riconoscere la dignità e l’autodeterminazione dei popoli che da decenni resistono all’assedio imperiale, come il popolo venezuelano e il popolo cubano.
Quando il Papa non fa questo, non resta “neutrale”. Nessuno è neutrale di fronte alla violenza. Fuggendo da una posizione ferma contro l’imperialismo, finisce per collocarsi, oggettivamente, dalla parte di chi ha il potere reale di distruggere economie, rovesciare governi e decidere chi vive e chi muore.
La vera dittatura
La stampa dominante punta il dito verso Caracas e L’Avana e grida “dittatura”. Ma non chiama dittatura il potere di un paese di:
- imporre blocchi a chi vuole;
- confiscare riserve di banche centrali;
- assediare porti e aeroporti;
- dichiarare che un presidente eletto “non vale” e riconoscere come legittimo qualsiasi fantoccio di turno;
- uccidere, con droni e operazioni speciali, chi gli dispiace – sia in territorio colombiano, venezuelano o di qualsiasi altro paese.
Chi fa questo non è “il mondo libero”. È un impero. E un impero, per definizione, non è democratico – né all’interno, né tantomeno all’esterno dei suoi confini.
Cosa spetta a noi
Questo articolo non pretende di discutere la politica interna del Venezuela. Questa discussione interessa, prima di tutto, il popolo venezuelano, in tutte le sue correnti, movimenti e contraddizioni. Ciò che ci interessa qui è un’altra cosa: denunciare l’ipocrisia di un sistema che chiama dittatura qualsiasi governo che non si inginocchia, mentre naturalizza la violenza economica e militare di chi comanda nel mondo.
Leone XIV si rivolge a milioni di persone che, nella loro maggioranza, non conoscono la complessità latinoamericana. La sua origine statunitense e la sua lunga traiettoria in Perù avrebbero dovuto farne un ponte tra il Nord e il Sud, una voce capace di tradurre per il mondo la resistenza dei popoli storicamente soffocati. Per questo, non possiamo accettare come “disattenzione” una dichiarazione che legittima la logica delle sanzioni.
È nostro dovere, come stampa progressista, dire ad alta voce:
- che la guerra economica è guerra;
- che la “pressione economica” è fame, disperazione, morte lenta;
- che i veri dittatori sono coloro che decidono, dall’esterno, quale popolo ha diritto o meno di scegliere i propri cammini – specialmente quando ciò che è in gioco è petrolio, ricchezza e sovranità.
Se il Papa vuole essere voce dei poveri, degli esclusi, dei popoli del Sud, dovrà andare oltre frasi generiche sul dialogo. Dovrà dire, con tutte le lettere, che l’Impero non ha mandato per strangolare economie intere in nome della “democrazia”.
Fino ad allora, spetta a noi rifiutare qualsiasi neutralità che, in fin dei conti, serve solo a nascondere la violenza dei più forti. E spetta alle comunità cattoliche di base, ai movimenti sociali legati alla Chiesa, ai teologi della liberazione che ancora resistono, chiedere al loro leader spirituale una postura che sia veramente all’altezza del Vangelo che rappresenta.

