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08 Dicembre 2025

“Il vecchio è morto, ma il nuovo non è ancora nato: nell’interregno si verificano i fenomeni morbosi più vari” A. Gramsci

la sinistra deve tornare a lottare e combattere per nuovi obiettivi

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Credit foto https://contropiano.org/documenti/2020/03/24/la-fine-del-neoliberismo-0125751

Di Fulvio Rapanà

In tutto l’Occidente aumenta il senso di incertezza e di timore per un presente instabile e per un futuro pieno di dubbi e di incertezze L’ordine neoliberista che ha condizionato l’Occidente per 60 anni si sta sgretolando sotto gli occhi increduli di comuni cittadini, professionisti, dirigenti, politici. Anche le élite che sono state fino ad ora il motore di un costante cambiamento nella continuità del sistema sono sconcertate e trasmettono messaggi contraddittori che non colgono il movimento tellurico che ci rende inquieti. Un’ analisi non può prescindere da una valutazione dei movimenti in corso nel pilastro centrale del sistema neoliberista che sono gli Stati Uniti.  Ho provato a ponderare in maniera asettica, distaccata come da cronista quello che ha fatto e continua a fare  Trump e, come scrive Financial Times la sua “banda di balordi vendicativi”, e sono arrivato alla conclusioni che la sua politica radicale appare inconcludente e anzi dannosa solo se la valutiamo attraverso le lenti di quei principi neoliberisti che oramai dobbiamo considerare al tramonto.

Gli Stati Uniti vogliono uscire dal sistema neoliberista                                                                            

     L’assoluta separazione dei poteri, la totale indipendenza dell’informazione, il disaccoppiamento fra economia e politica, la deregolamentazione dei sistemi produttivi,  la globalizzazione dell’economia con le catene di approvvigionamento,  e le  catene del valore distribuite su tutto il pianeta, hanno portato benessere e crescita economica ma gli Stati Uniti se ne vogliono uscire e giocare a modo loro almeno fino a quando  hanno ancora la forza militare e il potere finanziario. Il rigetto degli organismi internazionali e le minacce alle Corti Penali Internazionali confermano che i principi neoliberisti non esistono più e tutto ciò che da questo deriva è rimesso in discussione aprendo un periodo di transizione verso un nuovo sistema economico/politico/sociale di cui nemmeno Trump  conosce il risultato finale. In questi anni nuovi e diversi fattori economici e sociali hanno concorso a rendere il neoliberismo ormai inadatto a rispondere alle nuove esigenze della società globale: la disuguaglianza e l’insicurezza sociale ed economica stanno aumentando  vertiginosamente, lo stato non riesce più a garantire una equa ridistribuzione della ricchezza attraverso le tassazioni. La finanza ha preso un sopravvento quasi totale sulla politica. Il tasso di crescita della produttività in molte economie avanzate è allo zero virgola già da molti anni, con una inflazione che supera di molto il tasso di crescita dei redditi individuali. Enormi settori dell’economia manifatturiera sia negli Stati Uniti che ora anche in Europa sono devastati e i limiti ambientali di una civiltà basata sui combustibili fossili sono evidenti. La crisi finanziaria del 2008 ha, senza segnali evidenti, accelerato questi  problemi trasformandoli  da congiunturali in strutturali. Ma tutte queste evidenze sono loro stesse delle conseguenze del declino dell’ordine neoliberista di cui i veri inneschi a mio giudizio sono: il crollo inarrestabile della demografia nell’intero occidentale ; l’inadeguato riconoscimento funzionale dell’apporto che le donne danno al sistema che le posiziona ancora ai margini in figure de-mansionate; la rapida  avanzata  della Cina e dell’Asia in generale; la rinnovata politicizzazione dei mercati.

Il  declino demografico

Se nel 1960, quando sono state poste le basi del sistema neoliberista,  in Occidente (l’Europa+ USA+ Giappone+ Oceania) vivevano circa 900 mln. di abitanti che rappresentavano quasi il 40% della popolazione mondiale ( 2,5 mld); nel 2024  continua ad essere di 1 miliardo ma rappresenta il  16% di quella mondiale, a 7 mld. La proiezione al 2050 prevede una popolazione dell’Occidente ancora di 1 miliardo  che conterà solo per il 10% rispetto ad una proiezione mondiale di 10 mld. di abitanti. Questo gap demografico rappresenta un ostacolo insormontabile  per la leadership del sistema neoliberista che non è più in grado di sostenere da solo il mantenimento o lo sviluppo dei sistemi produttivi.

Riallocazione funzionale del lavoro femminile

Stiglitz, premio Nobel per l’economia, afferma con dati di causa: “L’Occidente non può permettersi di mettere in campo il 60% della sua forza lavoro, produttiva e intellettuale, lasciando ancora fuori o ai margini l’apporto che le donne potrebbero dare da una posizione centrale rispetto alla marginalità attuale. Il lavoro femminile è ancora marginale, de-mansionato oltre che sottopagato rispetto all’apporto che danno all’economia dell’occidente. Gli uomini devono convincersi che quanto più il lavoro richiede meno forza fisica e più capacità intellettuali tanto più avremo necessità delle qualità delle donne”.  

L’emergere della Cina

L’emergere della Cina non ha solo risvolti economici e geopolitici. Sono 30 anni che il legame, che riteniamo indissolubile ,fra democrazia liberale e sistema capitalistico si è andato sempre più incrinando. Economie di democrazie  illiberali come la Turchia, l’Ungheria , l’India e ora anche gli Stati Uniti o di autocrazie come la Cina, il Vietnam si stanno affermando prepotentemente sul mercato mondiale attuando un sistema capitalistico particolarmente avanzato. Anzi proprio l’esempio della Cina ha fatto proseliti in occidente ri-mettendo in evidenza la necessità per un nuovo primato della politica sull’economia.

Politicizzazione dei mercati

Il pericolo maggiore del neoliberismo , la politicizzazione dei mercati, sta rapidamente tornando alla ribalta. Uno degli obiettivi principali del neoliberismo era quello di svincolare la definizione delle politiche economiche dalla politica.   Questo riorientamento si è andato affermando nell’amministrazione Biden, con i suoi sforzi per sostenere l’industria manifatturiera americana attraverso il CHIPS and Science Act del 2022 e l’enorme spesa, duemila miliardi di dollari,  in infrastrutture sociali e produttive. Trump ha ampliato questa tendenza “militarizzando l’economia” ,  spingendo sui dazi, interferendo nelle decisioni aziendali e acquisendo quote di partecipazione in aziende come Intel.   Nell’introdurre uno dei suoi piani tariffari, Trump ha definito il libero scambio “una politica di resa economica unilaterale”. Aggiungo io, soprattutto quando come gli Stati Uniti hanno poco da vendere.  Anche l’Europa sta abbracciando sempre più tali politiche con un piano di investimenti senza precedenti di riconversione industriale camuffata dalla necessità di un riarmo anti-russo. In quest’ottica non è del tutto blasfemo considerare inutile o non rilevante l’indipendenza delle banche centrali così come chiede Trump riferendosi alla FED.

Frizioni tettoniche rompono l’equilibrio neoliberista

Ci sono quindi una serie di frizioni tettoniche che portano, come i terremoti,  alla rottura dell’equilibrio del sistema neoliberista  anticipato da  “sciami” di micro crisi interne ai vari sistemi economici. Nella storia economica è già successo  che le due componenti: il sistema politico e quello economico, hanno rotto precedenti equilibri per trovarne di nuovi. Il  neoliberismo  è sorto sui cambiamenti del precedente sistema keynesiano. L’enorme fardello economico dell’ordine economico keynesiano degli anni ’60 e le spese ingenti per la guerra del Vietnam portarono prima a un’inflazione crescente e poi alla disoccupazione che  aprirono la porta agli aggiustamenti che da Regan in poi posero le basi  del sistema neoliberista. Precedentemente il sistema keynesiano soppiantò  il capitalismo mercantilistico minato dalla Grande Depressione,  dalla dilagante miseria urbana, dalla violenza rurale,  in particolare la perdurante schiavitù, e da ricorrenti crisi economiche e bancarie.                                         

 Scrive Sven Beckert professore ad Harvard, “Dobbiamo riconoscere che in questa instabilità si nasconde un’opportunità. Nel bene e nel male, non torneremo al mondo che ci stiamo  lasciando alle spalle. Se i democratici  americani e gli europei vogliono sfidare la svolta illiberale nei loro paesi,  devono smettere di aggrapparsi al passato recente. Come altri sistemi imperialistici prima  anche questo sta finendo e anche il prossimo finirà. La resurrezione dei sistemi è impossibile e politicamente disastroso”.                                                                  

In questo contesto soprattutto la sinistra deve tornare a lottare e combattere per nuovi obiettivi: come indirizzare un’economia che permetta a tutti di prosperare;  un nuovo sistema di ridistribuzione delle enormi ricchezze accumulate da pochi  della nostra società perché vadano a beneficio di tutti; come  trasmettere ai nostri figli e nipoti un’economia ecosostenibile; se veramente l’intelligenza artificiale dovesse portare a una crescita significativa della produttività, come fare per garantire che più di una piccola minoranza di oligarchi ne trarrà profitto. Non lasciamo, come spesso ci è successo, alla destra di decidere il nostro futuro.

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