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07 Dicembre 2025

La Chiesa come istituzione sociale: dinamiche globali, esclusioni strutturali e crisi di legittimità

Demografia globale e spostamento verso il Sud

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Di Maddalena Celano

Secondo gli ultimi dati ufficiali (2023), la popolazione cattolica mondiale raggiunge circa 1,405 miliardi di persone.

 La crescita è particolarmente marcata in Africa e nelle Americhe, territori che registrano aumenti significativi.

 Questo suggerisce che la Chiesa — pur conservando un’identità globale — sta progressivamente spostando il suo “baricentro demografico” verso paesi dove la fragilità sociale, economica o istituzionale rende la domanda di appartenenza religiosa particolarmente intensa.

Eppure, questo aumento numerico non si accompagna a una corrispondente espansione delle vocazioni o delle strutture religiose attive: il numero di sacerdoti e suore continua a scendere in molte regioni, anche grazie al calo delle vocazioni nelle zone “storiche” del cattolicesimo.

 In termini sociologici, questo dato rivela un’istituzione che cresce in numero di fedeli, ma vede ridursi la propria capacità organizzativa e strutturale.

Esclusione delle donne: potere, gerarchia, conservazione

Le discussioni recenti sul ruolo del femminile nella Chiesa — e in particolare le decisioni ufficiali di escludere le donne da ruoli come il diaconato — non sono semplici questioni teologiche: sono atti di preservazione di assetti di potere profondamente gerarchici, in cui l’autorità rimane saldamente in mano a un clero di genere maschile.

Quando un’istituzione definisce che solo gli uomini possono detenere potere decisionale, ministeriale e sacramentale, non sta solo preservando una tradizione: sta cementando una struttura di disuguaglianza istituzionalizzata. Chi rimane fuori da quella struttura — non per mancanza di impegno, vocazione o merito, ma per ragioni di genere — è relegato a ruoli subalterni: cura, volontariato, assistenza, visibilità minima. In molti casi, si tratta di donne che — spesso nello spirito del servizio — sostengono la vita reale delle comunità, ma senza autorità, senza riconoscimento e senza spazio di decisione.

Questo squilibrio non è neutro: produce esclusione sistemica, marginalizzazione sociale e culturale, e impedisce che la Chiesa si rinnovi in termini di equità, inclusione e partecipazione democratica interna.

Disaffezione e declino della partecipazione in Italia e in Occidente

I numeri relativi alla pratica religiosa in Italia sono eloquenti. Nel 2022 la partecipazione settimanale alla messa è scesa al 18,8% della popolazione: il minimo storico.

 Questo dato rappresenta un crollo rispetto ai valori di inizio secolo (quando la quota dei praticanti era significativamente più alta).

 Secondo rilevamenti più recenti, il numero di persone che vivono la propria fede nel privato, senza frequentare i riti collettivi, è cresciuto, così come la quota di coloro che si dichiarano indifferentə o sono delusə verso l’Istituzione.

Il fenomeno non è solo quantitative: è anche culturale e generazionale. Numerosi giovani — soprattutto nei cluster d’età 18‑34 anni — dichiarano distacco, disinteresse o rifiuto della forma istituzionalizzata della fede.

 In chiave sociologica, questo allontanamento può essere interpretato come una crisi di legittimità: la Chiesa non è più percepita come rappresentativa dei bisogni spirituali, sociali e simbolici di larghe fasce della popolazione, soprattutto di quelle sensibilizzate alle istanze di uguaglianza, diritti, autodeterminazione.

Abusi, potere concentrato e omertà: la ferita aperta della Chiesa italiana

Il dato forse più drammatico — e inequivocabile — che testimonia la natura strutturale delle disuguaglianze interne alla Chiesa è quello relativo agli abusi sessuali perpetrati da membri del clero.

Un report del 2025 della Rete L’Abuso stima 1.250 casi complessivi di violenze sessuali nella Chiesa italiana, di cui 1.106 commessi da sacerdoti.

 Le vittime note risultano 4.625, delle quali 4.395 abusate da preti.

 Un’enormità di numeri che descrivono una ferita sistemica: gli abusi non sono casi isolati, ma un fenomeno diffuso e strutturale.

Il rapporto ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) per il biennio 2023‑2024 registra almeno 115 presunte vittime (64 maschi e 51 femmine), con 69 casi denunciati e 67 presunti autori — per lo più chierici.

 Tra questi casi rientrano anche abusi “spirituali” e di coscienza, fenomeno che appare in aumento.

Questa concentrazione di potere — in mano a un clero maschile, deciso e spesso autoreferenziale — unita a una struttura di controllo interna poco trasparente, crea le condizioni ideali per abusi, complicità, omertà. Il risultato è che molte vittime restano invisibili, molte storie sepolte, molta sofferenza taciuta.

Il fatto che solo una minima parte dei casi denunciati abbia portato a condanne o provvedimenti seri, che molti sacerdoti coinvolti siano tutt’oggi attivi o trasferiti, che le strutture ecclesiali faticano a cooperare con le autorità civili o con le associazioni di tutela — tutto questo conferma ciò che da tempo sostengo: la discriminazione istituzionale e lo squilibrio di genere non sono semplici retaggi culturali, ma meccanismi operativi, che producono ingiustizie reali, sistemiche, durevoli.

L’effetto combinato: discriminazione, disaffezione, sfruttamento, crisi di identità

Riassumendo le dinamiche:

● Da un lato, la Chiesa si ripopola — nel Sud del mondo — grazie a contesti di povertà, fragilità, esigenze sociali: questo alimenta numeri, ma non autorità condivisa.

● Dall’altro, in Europa e in Italia, cresce la disillusione, si diffonde la distanza, prevalgono individualismo, secolarizzazione, rifiuto di una istituzione percepita come patriarcale, chiusa, ipocrita.

● Nel mezzo, le donne — spesso soggette a esclusione istituzionale — rimangono corpo “di servizio”: volontarie, invisibili, subalterne.

● Allo stesso tempo, l’autorità concentrata, la mancanza di rappresentanza femminile, l’assenza di trasparenza generano una struttura vulnerabile agli abusi e alla copertura, compromettendo la dignità e la sicurezza di persone fragili e vulnerabili.

Il combinato disposto di discriminazione di genere, centralizzazione del potere clericale, crisi di partecipazione e scandali gravissimi crea un terreno di ingiustizia sistemica. Non si tratta più — se mai lo è stata — di una semplice occasione di riforma: si tratta di una falla strutturale, che mette a rischio la credibilità, la giustizia e la moralità stessa dell’istituzione religiosa.

Conclusioni: una denuncia che deve essere politica, sociale, morale

Analizzare la Chiesa come struttura sociale — e non come purezza dogmatica — significa guardare in faccia la realtà concreta: disuguaglianze, abusi, esclusioni, crisi di rappresentanza.

Questa denuncia non è contro la fede, né aspira a una conversione personale: è un appello alla giustizia sociale, al riconoscimento dei diritti di chi viene marginalizzato, al rispetto della dignità umana indipendentemente da genere, condizione economica o provenienza geografica.

Fino a quando la Chiesa manterrà strutture gerarchiche che escludono metà della popolazione — e fino a quando la sua autorità rimarrà praticamente intoccabile e in gran parte maschile — continuerà a essere un’istituzione incapace di garantire equità, protezione e partecipazione reale.

E nel mezzo di questo collasso simbolico e istituzionale, le vittime — donne, giovani, minorenni, vulnerabili — continueranno a pagare un prezzo altissimo: invisibilità, ingiustizia, sofferenza.

Per questo motivo — e con senso di responsabilità civile — va promossa non una riforma di facciata, ma una riconfigurazione profonda: smantellamento delle gerarchie maschili esclusive, apertura a ruoli di responsabilità femminile, trasparenza totale su abusi e gestione interna, riconoscimento della dignità di ogni persona.

Solo così la Chiesa potrà — forse — recuperare legittimità, dignità e senso di comunità autentica: fondata non sulla tradizione patriarcale, ma sull’uguaglianza, sul rispetto, sulla giustizia.