04 Agosto 2025
Navi dei veleni: Calabria, mare di segreti e rifiuti tossici
Tra verità sommerse e depistaggi, un’inchiesta lunga decenni: affondate decine di navi cariche di rifiuti pericolosi lungo le coste calabresi. Il caso De Grazia e la mancata bonifica ambientale.

Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Un mare trasformato in discarica criminale
Negli anni Ottanta e Novanta, il Mediterraneo è stato teatro di uno dei più gravi scandali ambientali della storia italiana. Al largo delle coste calabresi, decine di navi mercantili sarebbero state affondate con carichi di rifiuti tossici e radioattivi, in una strategia criminale che univa mafia, affarismo e silenzi istituzionali.
Il sistema era semplice quanto spietato: caricare i rifiuti su vecchie imbarcazioni, affondarle al largo e incassare i premi assicurativi. Navi a perdere. Il mare come pattumiera segreta per smaltire ciò che sulla terra sarebbe costato troppo.
Del resto era una strategia utilizzata, negli stessi anni, anche in Somalia. Inviare rifiuti da smaltire illegalmente e armi invece di aiuti alimentari. Traffico su cui indagava Ilaria Alpi. Uccisa il 20 marzo 1994 a Mogadiscio insieme a Miran Hrovatin.
Le partenze avvenivano da diversi porti. In Sicilia ad esempio. Dal porto di Gaeta, nel Lazio, partivano invece le navi della Shifco società italosomala.
Le imbarcazioni coinvolte nell’affondamento davanti le coste calabresi – secondo fonti investigative e testimonianze di pentiti – sarebbero almeno trenta. Tra queste, le più tristemente note:
Rigel, affondata nel 1987 al largo di Capo Spartivento con un carico sospetto di fusti industriali.
Cunski, citata dal pentito Francesco Fonti come affondata nei fondali di Cetraro con rifiuti radioattivi a bordo.
Jolly Rosso, spiaggiata misteriosamente ad Amantea nel 1990: inizialmente indicata come parte del traffico, poi smentita dalle autorità, ma tuttora al centro di polemiche.
Una Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha desecretato elenchi che parlano di oltre 90 affondamenti sospetti nel Mediterraneo tra il 1989 e il 1995, molti dei quali al largo della Calabria.
A rompere il silenzio fu Francesco Fonti, ex uomo della ‘ndrangheta calabrese, collaboratore di giustizia dal 1994. Le sue rivelazioni, documentate da magistrati e giornalisti, descrivono una rete internazionale che coinvolgeva:
Clan della ‘ndrangheta;
Imprenditori del Nord Italia;
Apparati deviati dei servizi segreti;
Governi stranieri coinvolti nello smaltimento illegale.
Fonti dichiarò di aver personalmente organizzato l’affondamento della Cunski e di aver trattato con funzionari pericolosi. Il suo racconto venne considerato attendibile da diversi magistrati, ma fu in parte archiviato.
Nel 1995, il capitano della Guardia Costiera Natale De Grazia era a capo di un pool investigativo sulle navi dei veleni. Stava seguendo la pista che conduceva ai porti liguri, dove si sarebbero caricate le navi con fusti tossici prima della “scomparsa” in mare.
Morì improvvisamente la notte tra il 12 e il 13 dicembre, durante una trasferta per acquisire atti giudiziari e testimonianze. L’autopsia parlò di infarto, ma la famiglia e alcuni colleghi non hanno mai creduto a questa versione.
La sua morte ha segnato una svolta: le indagini furono rallentate, il pool smantellato e il caso lasciato in sospeso. Oggi, a distanza di trent’anni, nessuna indagine è stata riaperta nonostante le richieste di familiari e parlamentari.
La questione non riguarda solo il mare. Nel territorio calabrese, in particolare nell’area del torrente Oliva (tra Amantea e Aiello Calabro), sono stati trovati rifiuti industriali interrati, tra cui metalli pesanti, diossine e tracce di cesio-137.
Molti di questi inquinanti potrebbero provenire dalle stesse navi, i cui carichi sarebbero stati in parte scaricati a terra. Diverse perizie hanno evidenziato un aumento di patologie tumorali nelle comunità circostanti, ma nessun risarcimento è mai stato riconosciuto.
Ad oggi:
Nessuna bonifica è stata effettuata sui fondali marini sospetti.
Non esiste una mappatura ufficiale delle navi affondate.
I pescatori locali denunciano anomale morie di pesci e casi sospetti di contaminazione, ignorati dalle autorità sanitarie.
I documenti desecretati sono in gran parte inascoltati o archiviati.
La senatrice Margherita Corrado (M5S), in più occasioni, ha chiesto la riapertura delle indagini sulla morte di De Grazia e un’indagine epidemiologica nelle aree colpite, ma nessuna iniziativa concreta è stata avviata.
Le “navi dei veleni” sono un simbolo amaro dell’Italia che non riesce a fare i conti con i propri misteri. Una terra abbandonata alla ‘ndrangheta e all’indifferenza. Un mare trasformato in cimitero industriale, davanti al silenzio dello Stato.
La Calabria attende ancora verità e giustizia. Verità per chi ha perso la vita nel tentativo di raccontare, come Natale De Grazia. Verità anche per i tanti misteri di Calabria. La strage di Gioia Tauro. La morte degli anarchici della baracca. Il ruolo della ndrangheta negli anni della strategia della tensione. Ruolo ottimamente delineato da Simona Zecchi nel libro “La criminalità servente nel caso Moro”
Giustizia per chi vive ogni giorno in territori inquinati e dimenticati.
È tempo che lo Stato, e la società civile, guardino in faccia questo passato e decidano se affrontarlo o continuare ad affondarlo, come le navi.
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