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Pietro Terracina, numero A-5506
di MARIO GIANFRATE
Pietro Terracina, internato nel campo di sterminio di Auschwitz con il numero A-5506 in seguito ai rastrellamenti di ebrei nella Capitale, era uno dei pochissimi deportati romani sopravvissuti alle folli e criminali atrocità dei lager nazifascisti.
Testimone del tempo, è morto la scorsa settimana. Lo ricordiamo con le toccanti e significative parole che ci ha lasciato in eredità, e che rappresentano per noi un monito e un impegno fermo e sincero, al quale, costi quel che costi, non verremo mai meno: che il fascismo non passerà!
Lo dobbiamo a Pietro e ai milioni di ebrei, antifascisti, omosessuali, gente di colore, zingari, trucidati nelle camere a gas; o dinanzi ai plotoni di esecuzione tedeschi e repubblichini ai giovani partigiani che hanno sacrificato la loro giovane vita invocando la libertà di fronte ai plotoni di esecuzione tedeschi e repubblichini; lo dobbiamo a noi stessi che sogniamo una società democratica dove prevalga il bene sul male, l’amore sull’odio, la civiltà sulla barbarie.
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“Arrivammo dentro il campo di concentramento, dalle fessure vedevamo le SS con i bastoni e i cani. Scendemmo, ci picchiarono, ci divisero. Formammo due file, andai alla ricerca dei miei fratellini, di mia madre, noi non capivamo, lei sì: mi benedì alla maniera ebraica, mi abbracciò e disse “andate”. Non l’ho più rivista. Mio padre, intanto, andava verso la camera a gas con mio nonno. Si girava, mi guardava, salutava, alzava il braccio. Noi arrivammo alla “sauna”, ci spogliarono, ci tagliarono anche i capelli. E ci diedero un numero di matricola. “Dove sono i miei genitori?”, chiesi a un altro sventurato. E lui rispose: “Vedi quel fumo del camino? Sono già usciti da lì”.