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Considerazioni sulla conferenza stampa della difesa della famiglia Mottola
PIERDOMENICO CORTE RUGGIERO
Sabato scorso, 9 novembre, la difesa del ex Maresciallo dei Carabinieri Franco Mottola, di sua moglie e di suo figlio, ha tenuto una conferenza stampa per illustrare gli elementi che dimostrerebbero l’innocenza dei tre.
I tre Mottola e due carabinieri in servizio ad Arce nel 2001, devono rispondere dell’accusa di omicidio nella persona di Serena Mollicone, oltre alle ipotesi di favoreggiamento e istigazione al suicidio di Santino Tuzi. La difesa ha illustrato i due cardini della strategia processuale: la porta non è l’arma del delitto; Santino Tuzi ha mentito. Secondo l’ipotesi accusatoria, Serena Mollicone la mattina del 1 giugno 2001 si reca presso la caserma dei carabinieri di Arce. In uno degli appartamenti disabitati della caserma, ha un litigio con uno o più membri della famiglia Mottola, viene spinta violentemente contro una porta. L’urto violento provoca una frattura cranica e la perdita dei sensi. Invece di portarla in ospedale, la soffocano con il nastro adesivo e la portano nel bosco di Fontecupa. Nel 2008 è il brigadiere Santino Tuzi, a dichiarare di veder entrare Serena Mollicone in caserma, la mattina del 1 giugno 2001. Le dichiarazioni di Tuzi sono tormentate, con ritrattazioni e ritrattazione delle ritrattazioni. Santino Tuzi muore suicida l’11 aprile del 2008. La difesa dei Mottola ha illustrato nei dettagli perché, a loro giudizio, la porta non può essere l’arma del delitto. Il centro della lesione della porta si trova a 154 cm da terra, Serena era alta 155 cm. La frattura all’arcata sopraccigliare di Serena è a 146 cm, quella allo zigomo a 140 cm. Queste misure dimostrano, secondo la difesa, che non è la porta l’arma del delitto. Mancano anche segni, contusioni e lesioni al collo, che indicano che Serena è stata sbattuta violentemente contro la porta. Sempre secondo la difesa, essendo la porta composta da un leggero strato di compensato, l’urto violento della testa di Serena, avrebbe comportato lo sfondamento della porta e non invece la semplice ammaccatura. Inoltre sulla porta sono state trovate tracce del Dna di un carabiniere che ha partecipato alle indagini. Indice secondo la difesa, di una scorretta conservazione delle prove. Le considerazioni difensive sulla porta, sono legittime e suggestive ma non tali da fornire una prova scientifica che la porta non è l’arma del delitto. Sarà oggetto, in dibattimento, di duro scontro tra le parti. In una dinamica violenta, le differenze di pochi cm possono essere irrilevanti e anche gli apparentemente rigidi enunciati delle leggi della fisica possono essere sovvertiti. Secondo la difesa della famiglia Mottola, le dichiarazioni di Santino Tuzi sono bugie frutto di pressione psicologica. Effettivamente le dichiarazioni di Tuzi sono tormentate e contrastanti apparentemente. Indicano, però, il tormento di un uomo che cerca di recuperare dei ricordi. Basta leggere gli atti e le intercettazioni per avere idea del tormento di Tuzi, che cerca di ricordare. Non dimentichiamo che Tuzi si uccide, per uscire da quella situazione avrebbe potuto mentire invece di uccidersi. Tuzi non è bugiardo e Tuzi non è un assassino o complice di assassini. A dirlo sono gli atti. Tuzi è probabilmente vittima delle menzogne di altri. Sarà un processo duro, fatto di colpi bassi. Speriamo sia un processo che consegnerà, finalmente, l’unica cosa che conta. La verità.
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