Mettiti in comunicazione con noi

Non categorizzato

Semi di pace in Israele e nei Territori occupati

Avatar photo

Pubblicato

su

 

di ALESSANDRO BONAFEDE*

Intervista con una refusenik palestinese


Dalla Risoluzione ONU 181 del 27 novembre 1947 agli accordi di Oslo del 1993, dal piano Clinton a Camp David del 2000 molte cose sono successe in palestina e in Israele.  Racconteremo qui casi meno noti nel main streaming: il caso di Vittorio Arrigoni e dei Refusenik israeliani, i renitenti alla leva obbligatoria nell’esercito israeliano.

Molto c’è da dire sul conflitto arabo israeliano ma preme sottolinearne una su tutte: la grande difficoltà di trasmettere all’esterno, soprattutto in Europa, la realtà di Israele. Una realtà fatta di grande sviluppo economico, di ottimismo, di fiducia, di gioia di vivere, di realismo e al tempo stesso di grande progettualità proiettata sull’avvenire. In Europa quando si parla di Israele scatta automaticamente – sia in chi è ostile ma anche in chi è favorevole – il riflesso di pensare al conflitto con i palestinesi. Ma vivendo la vita quotidiana di Israele ci si rende conto che il conflitto – che naturalmente esiste – occupa un ruolo assai inferiore rispetto al lavoro, allo studio, al divertimento, a qualsiasi altra attività.

Gli arabi che vivono in Israele e ne sono cittadini sono in grande maggioranza integrati, vivono una realtà non molto diversa da quella che noi conosciamo: lavorano, studiano, occupano i ruoli più vari in maniera non molto diversa dai cittadini ebrei: sono operai, impiegati, professionisti, medici, professori, giudici, artisti musicali. Certo, le proporzioni non sono le stesse per i ruoli più alti, ma la linea di tendenza è chiara.

Famoso il caso del cantante reggae rastafari alpha blondy: nato da madre mussulmana e padre ebrea si considera quasi ebreo pur non essendolo: la progenia ebrea è infatti matrilineare. Nelle sue canoni reggae canta in inglese ebreo arabo e francese.


C’è poi il caso della Giudea e della Samaria. Che cosa accadrà? Anche qui per chi vuol vedere senza pregiudizi la tendenza è chiara: sempre più la presenza ebraica si rafforzerà e si estenderà. Si spera che si rafforzerà anche la simbiosi tra arabi e israeliani. Già oggi una buona parte degli arabi di Giudea e Samaria è impegnata in attività strettamente legate all’economia israeliana.

Naturalmente il conflitto esiste: Hamas e Jihad sono realtà molto importanti nella vita sociale e politica palestinese e perseguono la distruzione dello stato di Israele. Il conflitto arabo ebraico coinvolge da decenni tutte le istituzioni internazionali, la politica europea i poteri forti occidentali Cina Russia e mondo arab e mussulmano ovviamente. La Nazioni Unite, Le ONG, la politica europea  elacooperaioone internazionale, svolgono un ruolo delicatissimo e importantissimo, ma il conflitto arabo israeliano raggiunge periodicamente punte drammatiche. Vediamo due esempi misconosciuti o dimenticati.

L’OMICIDIO DEL COOPERANTE VITTORIO ARRIGONI (VIK)

Ormai è quasi dimenticato il caso di Vittorio Arrigoni, detto Vik. il Regeni della Palestina;  attivista cooperante e giornalista fu sostenitore della soluzione binazionale – due popoli due stati – come strumento di risoluzione del conflitto israelo palestinese. Pacifista, si era trasferito nella striscia di Gaza per agire contro quella che definiva pulizia etnica dello stato di Israele nei confronti della popolazione araba palestinese. La sera del 14 aprile 2011 venne rapito da un gruppo terrorista dichiaratosi afferente all’area jihadista salafita. Tre membri del commando poi smentirono  l’appartenenza al gruppo.

Venne rapito dal commando all’uscita dalla palestra di Gaza nella quale era solito recarsi. In un video immediatamente pubblicato su Youtube,  Arrigoni viene mostrato bendato e legato, i rapitori accusano l’Italia di essere uno “stato infedele” e l’attivista di essere entrato a Gaza “per diffondere la corruzione”.

Viene inoltre lanciato un  ultimatum, minacciando l’uccisione di Arrigoni entro il pomeriggio del giorno successivo, e chiedendo in cambio della sua liberazione la scarcerazione del loro leader, Hisham al-Saedni, più noto come sceicco Abu al Walid al Maqdisi, e di alcuni militanti jihadisti detenuti nelle carceri palestinesiIl giorno successivo, il corpo senza vita di Arrigoni fu rinvenuto dalle  Brigate Ezzedin al Qassam nel corso di un blitz in un’abitazione di Gaza. Secondo le forze di sicurezza di Hamas, la morte sarebbe avvenuta nella notte tra il 14 e il 15 aprile per strangolamento.L’autopsia svolta successivamente all’Istituto di medicina legale dell’Università la sapienza di Roma confermò i rilievi palestinesi.

Nei giorni seguenti, le indagini delle forze di sicurezza di Hamas condussero all’individuazione dei presunti responsabili del rapimento; il 19 aprile 2011 le forze armate di Gaza penetrarono nel campo profughi di Nuseirat per eseguire gli arresti. Due terroristi – tra cui il capo, il giordano Abdel Rahman Breizat[ – rimasero uccisi in un conflitto a fuoco, mentre un terzo venne fermato. I membri dell’organizzazione salafita dichiararono successivamente che la responsabilità del rapimento sarebbe stata da attribuirsi a un gruppo illegale “impazzito”.

Il processo per omicidio iniziò a Gaza l’8 settembre 2011   a carico di quattro soggetti (Abu Ghoul, 25 anni, Khader Jram, 26 anni, Mohammed Salfi, 23 anni, e Hasanah Tarek) e si concluse il 17 settembre 2012 con due condanne all’ergastolo per omicidio (ridimensionate a 15 anni di reclusione) e altre due a 10 anni e 1 anno di carcere rispettivamente per rapimento e favoreggiamento. La famiglia Arrigoni in quell’occasione si era dichiarata contraria alla pena di morte per gli assassini.

L’omicidio di Arrigoni suscitò sdegno e proteste in tutto il mondo e fu condannato in modo unanime dalle Nazioni Unite e da vari capi di stato. Le autorità della striscia di Gaza tributarono un “saluto solenne” con centinaia di partecipanti alla salma di Arrigoni prima del suo trasferimento verso l’Italia.

Per rispettare le volontà di Arrigoni, la famiglia dispose che la salma tornasse in Italia passando dall’Egitto e dal valico palestinese di Rafah anziché dal territorio di Israele. I funerali, svoltisi in Italia  videro la partecipazione di migliaia di persone giunte da tutta Europa.L’assenza di rappresentanti del governo italiano e di un riconoscimento pubblico in memoria di Arrigoni causarono forti polemiche.

Tra le molte manifestazioni di affetto vi fu anche quella di Moni Ovadia che definì Arrigoni “un essere umano che conosceva il significato di questa parola”

Viene alla mente la famosa la teoria di Sergio Della Pergola: “se Israele vuol essere uno Stato ebraico non potrà essere democratico a causa della preponderanza demografica araba” C’è chi dice che nel lungo periodo l’integrazione della popolazione araba nelle istituzioni israeliane avverrà in maniera assai meno traumatica di quanto si poteva prevedere alcuni anni fa: ma appare pura retorica visto che Hamas e Jihad hanno nel loro statuto la distruzione di Israele.  E’ pur vero che la a volte ambigua di Arafat e del suo successore Abu Mazen, ha provocato progressivamente l’estraniamento dalla realtà del popolo palestinese, che – non teorizzandola ma praticandola – ha scelto un’altra strada rispetto alla contrapposizione frontale con Israele.

INTERVISTA CON LA REFUSENIK ISRAELIANA FATIMA

Inizio a riportare fedelmente l’intervista a una refusenik israeliana, faticosamente raccolta con una provocazione: l’alias usato è Fatima come la madonna di Fatima, riconosciuta  e venerata non solo dai cattolici, ma anche dai mussulmani sciiti:Fatima era la nipote di Alì con cui nel suo quarto califfato inizia la scissione tra maggioranza sunnita e minoranza sciita, gli sciiti infatti sono solo il 20 per cento del mondo mussulmano, ma sono tutti o concentrati o in stretto contatto con l’area euro mediterannea.

La parola inglese refusenik (letteralmente, “rifiutati”, costruita dal verbo inglese “refuse” con il suffisso russo “-nik”) è entrata nella lingua italiana durante la guerra fredda  per riferirsi alle persone cui venivano rifiutati alcuni diritti umani, in particolare il divieto di emigrare. In seguito, il suo uso si è esteso ad indicare persone che si rifiutano di partecipare ad attività obbligatorie, come un obiettore di coscienza nei confronti del servizio militare. Il termine può assumere vari significati specifici: nell’ex Unione Sovietica, i refusenik erano cittadini ebrei a cui veniva rifiutato il permesso di espatrio.

In Israele, i refusenik sono soldati e membri della riserva che si rifiutano di servire nell’esercito israeliano sotto certe condizioni, ad esempio si rifiutano di operare nei Territori occupati.

Nel regno Unito vengono a volte chiamati refusenik le persone che rifiutano di avere la futura carta d’identità britannica.

Ishrad Manjii scrittrice canadese di origini indiane (nata in Uguanda) si descrive come “refusenik musulmana” per la sua opposizione all’Islam fondamentalista.

Contatto con molta difficoltà e per casualità  una refusenik israeliana, nome di fantasia Fatima, concordiamo di non pubblicare sue foto e di usre un alias:

“Sono pronta per le tue domande”

Potresti commentare questa foto di una mamma israeliana con la divisa delle forze speciali israeliane, un fucile e un bimba in braccio?

“Quello che vedo è una madre che sta proteggendo il suo bambino. La realtà della guerra è dura da accettare ma la gente che vicd in guerra non smetterà di vivere. Se le donne madri stessessero giocando per uno show sono sicura che i conflittti terminerebbero. La legge della vita è proteggere la vita. Inoltre vedo con più favore una madre con un’arma che un uomo con una pistola perchè la madre penserà iin manira più compassionevole prima di tirare il grilletto”

Potresti raccontarci la tua esperienza nell’esercito israeliano il più potente del mondo?

Risposta: “L’esercito israeliano è molto potente grazie al lavaggio di testa della sua gioventù. I militari creano volontariamente traumi alla gioventù israeliana e i giovani ne conservano memoria per tutta la vita, creando un ciclo vizioso dal quale non si può uscire. Un mondo che non avremmo dovuto conoscere. I giovani prestano il servizio militare solo perchè sono minacciti dal potere economico e il lavagio del cervello della società, ma i veri leaders non mandano i loro figli a morire in nome dei loro egoistici interessi e delle loro malattie mentali. Dovrebbero altresì proteggere i loro vicini e i loro bambini invece di ucciderli”

Sei tu quindi una refusenik?

Sì. m sono tornata indietro in Israele per fare servizi sociali in comunità in guerra. Ho studiato religione, politica e i territori delle comunità in lotta. Dopo quello che ho visto ho deciso di non supportare gente che vuole distruggere. Posso tornare in Israele in visita ma non posso vivere in Israele.  Ciò nonostante ho la cittadinanza israeliana.”

“la soluzione alla guerra è liberarsi dei leaders che non vogliono combattere le proprie guerre come uomini veri, così mettono a rischio la vita di gente innocente e promuovono il lavaggio del cervello sociale (il social brainwashing è una tecnica militare ndr). La soluzione è aiutare le comunità intorno e convincere la gioventù a deporre le armi. “

“Non avevo mai sentito del giornalista italiano. Ma entrambe le parti sono responsabili per le loro azioni e invece di rendere la vita più difficile i ricchi dovrebbero aiutare le loro comunità sia economicamente sia con l’educazione. Non provare a prendere uno con l’altro le rispettive terre con falsi profeti, che è quello che realmente stanno facendo ora. Noi siamo tutti ricchi, tutto quello di cui abbiamo bisogno è CONDIVIDERE”

Associazione Isola Internazionalismo Solidarietà Autodeterminazione



Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo