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Si svuotino gli arsenali, si colmino i granai
di NICO CATALANO
Il porto di Genova chiude alle navi cariche di armi
Alla fine, dopo ore di proteste, i “camalli” del porto di Genova hanno vinto, così come avevano fatto nelle scorse settimane i loro colleghi portuali in altri porti d’Europa, anch’essi hanno ottenuto di non essere complici di una guerra.
Intorno alle 22 di lunedì sera, il cargo Bahri Yanbu, è salpato dal porto di Genova, la nave battente bandiera Saudita ha lasciato la città ligure diretta verso Alessandria d’Egitto, dopo la presa di posizione dei lavoratori del porto di Genova, che attraverso uno sciopero hanno impedito tutte le operazioni di carico di materiale bellico sull’imbarcazione.
Droni e attrezzature che erano destinate per l’esercito Saudita, impegnato da anni nel sanguinoso e impari conflitto in Yemen contro i ribelli Houthi, una guerra “sporca” purtroppo volutamente dimenticata dall’occidente, che secondo le fonti delle Nazioni Unite ha generato negli ultimi anni, oltre 250 mila vittime, tra cui circa 100 mila bambini a causa dei cruenti combattimenti e di malattie, malnutrizione e fame conseguenti di questi scontri. A nulla è servito l’intervento del prefetto di Genova Fiamma Spena, nel cercare un accordo con i lavoratori in agitazione, durante un lungo incontro avuto con una delegazione sindacale guidata dal segretario della camera del lavoro, Igor Magni, e dal segretario della Filt Cgil, Enrico Poggi.
Le lavoratrici e i lavoratori portuali, avevano aderito compatti allo sciopero proclamato dalla Filt Cgil appena il cargo Saudita era attraccato al terminal Gmt del porto genovese, diramando un comunicato in cui si annunciava l‘astensione dal lavoro per tutti i servizi e le operazioni portuali di mare e di terra che vedevano coinvolta la nave nel porto. Inoltre sempre nello stesso comunicato i lavoratori hanno formalmente chiesto al governo Conte, di interrompere, in attuazione del trattato internazionale contro il commercio delle armi, tutti gli accordi commerciali sugli armamenti con l’Arabia Saudita. Una collaborazione commerciale di materiale bellico che vede da anni impegnato il nostro Paese con il regime di Riyad, accordi economici che hanno visto protagonista più di un governo precedente a quello gialloverde.
Aerei, bombe e missili che hanno preceduto negli scorsi anni, sia gli otto cannoni tipo Caesar che quel generatore elettrico prodotto dalla Defence Teknel il cui fine è quello bellico, attrezzature che anziché essere caricate sulla nave Saudita sono invece rimaste nei magazzini portuali liguri, grazie proprio all’azione tenace messa in atto da questi lavoratori.
Un’azione così forte che ha indotto il capitano della Bahri Yambu a riprendere subito il largo, il quale nel timore di una diffusione della protesta anche in altri porti della penisola, ha scartato l’ipotesi di attraccare in un altro porto italiano, al fine di caricare il materiale da imbarcare preventivamente trasportato via terra.
I portuali genovesi evidenziando l’ipocrisia che contraddistingue i nostri tempi, in cui i porti si chiudono per gli esseri umani mentre si tengono aperti per commerciare ordigni di morte, hanno dimostrato più coraggio di quanto in questi anni ha avuto la politica italiana sia di destra ma soprattutto di sinistra, concretizzando quanto è riportato nell’articolo 11 della Costituzione “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Un bellissimo segnale che fa ben sperare per il futuro, un’azione in linea con gli insegnamenti di un illustre figlio della terra ligure, quel Sandro Pertini che nel suo discorso di insediamento alla presidenza della Repubblica nel lontano 1978 disse “Si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte e si colmino i granai sorgente di vita per milioni di creature che stanno lottando contro la fame”.
Fonte della foto: il Fatto Quotidiano di lunedì 20 maggio 2019