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La famiglia romana
di MARIA PACE
La famiglia si basava innanzitutto su due cose: la castità delle figlie e la fedeltà delle mogli… non che la morale fosse così rigida e il malcostume inesistente. Il malcostume c’era. C’era, ma non riusciva a corrompere la famiglia: i maschi frequentavano prostitute prima e qualche volte anche dopo il matrimonio, ma senza troppo rumore… in questo nulla è cambiato!
Fin dall’epoca arcaica il rito nuziale era di due specie: sine manus e cum manus.
Con la forma di matrimonio detta sine manus il marito non acquisiva alcun potere sulla moglie, la quale restava legata alla famiglia di origine e non aveva prospettive ereditarie nei confronti della famiglia del marito. Con la forma cum manus , invece, la più comune forma di matrimonio, il marito poteva acquisire manus ossia “potere” sulla moglie; il potere della manus comprendeva anche il diritto di uccidere la moglie, legge risalente, pare, a Romolo, in caso di adulterio o di sbronza.
Il rito nuziale cambiava secondo la classe sociale di appartenenza: la confarreatio era riservata per lo più alle famiglie patrizie e la coempti, invece, alle famiglie plebee. La prima era una solenne cerimonia in presenza del Pontefice Massimo, al suono di canti e musica. In corteo, la folla di parenti accompagnava in pompa magna la sposa fino alla casa dello sposo, dove lui era in attesa e all’arrivo di lei chiedeva:
“Chi sei?” oppure “Dove sei?”
Lei rispondeva
“Se tu sei Caio io sono Caia”
Oppure
“Dove tu sei Caio, io sono Caia”.
La seconda forma di matrimonio simulava, invece, un
atto di “vendita” della sposa da parte del padre di lei,
in presenza di testimoni.
Nel primo caso la donna restava sotto la patria potestà anche da sposata, ma nel secondo caso, è vero che si sottraeva alla patria potestà, ma solo per passare sotto quella del marito… insomma, la donna romana doveva dipendere sempre da un uomo: padre, marito e perfino figlio, nel caso fosse rimasta vedova e, in mancanza, essere seguita da un tutore.
Un terzo caso la forma dell’Usus, che prevedeva una
convivenza ininterrotta di almeno un anno sotto lo
stesso tetto.
Durante tutta la cerimonia e il tempo precedente la preparazione, gli sposi erano assistiti da una pronube, una persona, cioè che si prendeva cura di ognuno dei due aspiranti al matrimonio. Generalmente il matrimonio era preceduto dal fidanzamento, che era deciso dai genitori di entrambi gli sposi e si suggellava con la stipulazione di un vero e proprio contratto in cui si regolavano le questioni economiche.
Il matrimonio aveva soprattutto lo scopo di perpetrare la specie e quindi avere figli; questo, però, non lo rendeva indissolubile e il marito… e solamente lui… aveva il diritto di porre fine al matrimonio ripudiando la moglie con o senza colpe, ma sempre per colpe imputabili a lei. L’uomo, naturalmente, non aveva alcun dovere di fedeltà.
Quella dura disciplina all’interno della famiglia arcaica andò col tempo pian piano allentando e così anche quell’assoluta autorità del padre andò pian piano attenuandosi, fino a cadere del tutto e già nel secondo secolo dopo Cristo.
Anche il carattere della discendenza cambiò. Non più limitata alla parentela agnatizia, ossia quella legata al pater familias, ma anche alla parentela cognatizia, ossia alla parentela per parte femminile. Si giunse, così, a Marco Aurelio ed alla consacrazione ed al riconoscimento del diritto di sangue. (continua)
brano tratto da: ANTICA ROMA – Costumi e Tradizioni” di Maria Pace