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Lo sciopero generale delle donne

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di MICHELANGELA BARBA

È stato l’8 marzo e tutte le principali piazze italiane hanno visto sfilare cortei a manifestare per le ricorrenza della “Giornata Internazionale della Donna”.

 

Come ormai da diversi anni l’organizzazione delle iniziative è stata curata in larga parte dal movimento “Non Una di Meno” che da settimane aveva lanciato lo “sciopero generale delle donne”, invitando le donne ad astenersi ad esempio dal lavoro di cura e dalla ricerca lavoro. Sulle adesioni a tali forme di sciopero non abbiamo ovviamente dati. In compenso tutte le principali sigle dei trasporti pubblici hanno a loro volta proclamato uno sciopero, di più tradizionale modalità, il cui i lavoratori (in larga parte uomini) si sono astenuti dall’ordinaria attività lavorativa, di fatto limitando la partecipazione delle donne a cortei e iniziative. Chi di sciopero colpisce di sciopero perisce.

Moltissime le parrucche fucsia, le magliette fucsia, i foulard fucsia avendo il Movimento invitato a vestirsi di tale colore. Fucsia e non viola come è tradizionalmente il colore associato al femminismo ha fatto notare qualcuno.

Altre iniziative che hanno fatto discutere: l’esposizione di cartelli scurrili, blasfemi o di critica dei tradizionali valori della destra come ad esempio quello ad opera della senatrice Cirinnà e l’aver versato della vernice rosa sulla statua del giornalista Indro Montanelli in ragione dell’intervista rilasciata nel 2000 in cui raccontava di avere acquistato una ragazzina africana come “moglie” abusandone sessualmente negli Anni Trenta.

A seguire dibattiti su religione e femminismo, etica individuale e cariche pubbliche, sul confine tra opere di ingegno e vita privata.

Nessun dibattito Invece sull’attuale condizione delle donne, in Italia e nel mondo, tra salari ridotti e nuove schiavitù, tra femminicidi e violenze di genere con numeri da capogiro.

Quindi, visto che la rete femminile di maggiore visibilità mediatica, si chiama appunto “Non Una di Meno” fermiamoci un momento a pensare invece alle tante di Meno di queste manifestazioni.

A partire da quelle che non ci sono potute andare perché non hanno trovato un mezzo pubblico per farlo, a continuare con quelle che non hanno avuto la possibilità economica di farlo perché sì hanno scoperto dalla ricerca lavoro ma ciò non ha prodotto il lavoro di cui hanno bisogno.

A continuare dalle vittime di tratta riconosciute che dall’Africa sono comprate e vendute OGGI ma delle quali non sta parlando nessuno dal 9 marzo in poi, come se veramente,  la questione si fosse chiusa con l’epoca delle colonie.

E poi a continuare con le vittime di sfruttamento sessuale che pure nel nostro ordinamento vanno sotto la voce “prostituzione volontaria” pur arrivando da percorsi di vita disastrosi e disastranti, pur avendo subito violenze inaudite fisiche e psicologiche, pur non avendo mai desiderato prostituirsi ma semplicemente vivere o essere amate. E avendo avuto la sfortuna di trovare persone senza scrupoli disposte ad approfittare di questa loro vulnerabilità.

Quante di Meno? Tantissime di Meno.

Simona Lavinia Aiolaiei non ha potuto indossare nessuna parrucca fucsia.

Nel 2013, a 18 anni, è stata strangolata da un cliente che, nell’esercizio della propria libertà e del proprio potere economico, acquistava da lei prestazioni sessuali sempre più degradanti.

Simona Lavinia rispondeva all’uomo di cui era innamorata, Alin Moka, che l’aveva avviata al Mestre ancora minorenne e che la teneva stretta con le catene di un legame violento e malato. Per la nostra legge pertanto la sua era “libera scelta”. Nessuna tutela per lei.

Le diceva di tenersi stretto Andrea Pizzoccolo, ragioniere di Arese, in provincia di Milano, che per quanto fosse inquietante, pagava bene e tornava spesso.

Andrea Pizzoccolo ha strangolato con un cavo elettrico, poi ne ha violentato il cadavere.

Ora paga con l’ergastolo.

Chi lo sa quante altre di Meno Per mano sua.

E ci chiediamo cosa sarebbe successo invece in un sistema come quello francese o svedese, improntati al modello nordico, che prevedono di segnalare ai servizi i clienti compulsivi da un lato e offrire vie d’uscita alle ragazze sempre, senza selezionarle in base al grado e alla modalità di costringimento.

Pizzoccolo poteva essere fermato? Simona Lavinia (E forse altre, non lo sappiamo con certezza) poteva essere ancora viva?

Non lo sapremo mai ovviamente.

Ma forse invece di discutere se Dio Patria e Famiglia siano valori di destra o di sinistra ( chissà cosa ne avrebbe detto Giorgio Gaber), invece di strapparsi i capelli dell’intellettuale uomo del suo tempo oppure no, potremmo partire da qui. Da Simona e dal chiederci perché è stato possibile il suo scempio.

Senza aspettare che ci  sia un’altra di Meno.

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo