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Maria Mirabela Rafaila, fiat iustitia ne pereat mundus
di PIERDOMENICO CORTE RUGGIERO
Questo è il periodo in cui parlare di uno straniero come vittima, comporta il rischio di essere definiti buonisti o peggio.
Buonismo è diventato un termine usato a sproposito. Vogliamo correre il rischio di essere chiamati buonisti o peggio. Raccontiamo la vicenda di Maria Mirabela Rafaila. Perché davanti alla morte violenta, non esiste razza, nazionalità. Esiste una formula desueta, ma sempre efficace, omicidio nella persona di… Nella persona. Persona è la parola chiave. Una persona ha il diritto alla vita, dignitosa. E se perde la vita, ha diritto ad avere giustizia. Senza alcuna distinzione. Maria era una bambina. La nazionalità deve rimanere un dettaglio, ciò che conta è che Maria Mirabela Rafaila ha avuto una morte violenta e non ha avuto giustizia. Il 13 novembre 1999, Maria si trova presso il semaforo dell’incrocio tra la provinciale 98 e la strada che porta da Bitonto a Palo del Colle. Con lei le sorelle più grandi. Chiedono l’elemosina. Ci sono anche ragazzi marocchini che vendono fazzoletti e accendini. Improvvisamente Maria scompare nel nulla. Nessuno vede niente. Solo una delle sorelle, nota l’allontanamento di uno dei ragazzi. Viene dato l’allarme. Iniziano le ricerche. Vengono usate anche unità cinofile. Con il passare dei giorni, aumentano i sospetti sulla famiglia. Si ipotizza che potrebbero aver venduto la figlia per pagare un debito. Evidentemente, il pregiudizio ha giocato un ruolo decisivo. I nomadi vendono i bambini, i nomadi rubano i bambini, quante volte l’abbiamo sentita? La sera del 17 dicembre, i genitori di Maria Mirabela vengono arrestati. Hanno venduto la figlia, dopo averla ridotta in schiavitù. Ad accusarli la traduzione di alcune telefonate intercettate. Vengono accusati anche di depistaggio, perché il padre della bambina, aveva mostrato una scarpina della figlia che aveva trovato nella zona già controllata dagli investigatori. Il caso sembra risolto, tutti possono pensare al Giubileo e al nuovo Millennio. E invece no. Il 4 aprile 2000, viene ritrovato il corpo di Maria Mirabela, a cento metri dal luogo della scomparsa. Era avvolta in un materasso all’interno di una rete piegata e poi infilata in un buco coperto con della gommapiuma. Indossava gli indumenti del giorno della scomparsa, ma non il tipo di scarpine trovate dal padre. Vicino al suo corpo, vengono trovati alcuni suoi giocattoli. Perché non viene trovato prima il corpo? Non è possibile escludere che sia morta in un luogo diverso e solo dopo portata nel luogo di ritrovamento. Vengono scarcerati i genitori della bambina, la traduzione delle telefonate non era precisa. Le indagini continuano per qualche anno, vengono poi archiviate. A livello nazionale il caso di Maria Mirabela viene dimenticato, ma non a livello locale. L’Italia in 20 anni è cambiata, non in meglio. Oggi la storia di Maria è quasi fastidiosa, perché ricorda che il diritto alla vita e alla giustizia è universale. Perché ricorda che un bambino ucciso è una atrocità, a prescindere dal colore della pelle. Oggi che l’odio avanza, il senso di giustizia è l’unico baluardo. Oggi più che mai le parole di Hegel diventano un monito. Un doveroso obbligo di coscienza.
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