Editoriale
Mi chiamo Cloe Bianco e sono felice
La morte di Cloe Bianco provoca sdegno perché non si è verificata durante il ventennio fascista ed anche perché la felicità per questa donna poteva non essere un’aspirazione avulsa dalla realtà.
Una ventina di anni fa, forse più, durante una cena con amici, fui colpita dalla presenza di una a me sconosciuta invitata. Lunghi capelli biondi ed occhi da cerbiatta, su di un corpo longilineo suscitarono subito la mia invidia, ma la giovane età della donna stimolo` anche una sorta di senso materno. I suoi abiti erano quelli di una ragazza che stava per entrare in classe per la lezione. Seppi poi che per vivere faceva la parrucchiera ed iniziai a comprendere che molte delle cose delle quali parlava raccontavano di un universo che non avrei mai compreso fino in fondo. L’orgoglio ad esempio di fare la parrucchiera ed una particolare umiltà non trovavano un senso nella mia personale interpretazione del mondo. Raccontò di stare completando il percorso che l’avrebbe condotta ad essere una donna anche da un punto di vista giuridico. In tutta onestà non mi parve di avere di fronte una di quelle figure che con disprezzo venivano etichettate come “trans” e che per sopravvivere e pagare le costose cure di chirurgia plastica necessarie al cambiamento di sesso si prostituiscono. No, la ragazza con cui parlai aveva un proprio negozio, che i genitori le avevano comprato affinché facesse la parrucchiera e voleva appartenere ad una normalità che per la maggior parte aveva già realizzato e che non prevedeva di fare mistero alcuno del suo passato. Nonostante ciò ebbi la sensazione di un insormontabile suo senso di inferiorità rispetto alla comunità a cui apparteneva.
Non rividi mai più questa giovane a cui già all’epoca lo stato aveva pagato tutte le spese per la transizione da un genere ad un altro, una ragazza alla quale evidentemente tutto questo non sembrava vero e che aveva un suo progetto di vita che la rendeva felice. Ne fui personalmente molto contenta e spero che abbia mantenuto tutta la gioia e l’ottimismo che in quella lontana sera d’estate manifestò a chi come me la stava ad ascoltare.
Oggi sono in molti a decidere di non vivere clandestinamente la propria esistenza. Ci sono leggi che tutelano questo diritto legittimo e non è infrequente apprendere che quel tale, oggi donna, un tempo era un uomo sposato e con figli, che magari dirigeva ed ancora dirige un proprio studio legale, insomma che ha cambiato perché riteneva giusto farlo e non si è trovato di fronte alla strada un tempo obbligata della prostituzione. Nonostante ciò qualche giorno fa una insegnante si è tolta la vita dandosi fuoco nel suo camper. Nel 2015 aveva cominciato a condividere con chi la conosceva e dunque anche con i suoi allievi, che il professore di fisica che aveva dato loro lezioni si sentiva ed era diventata donna. Fu derisa da quegli studenti, messa alla berlina dal corpo docente ed alla fine demansionata al ruolo di semplice segretaria, con il divieto tassativo di insegnare, anche grazie ad un intervento della magistratura.
Certo sarebbe ingenuo aspettarsi che degli adolescenti manifestino la maturità necessaria a comprendere la complessità della vita, sebbene sia persuasa della necessità di un programma affinché certe problematiche non appaiano loro così lontane, programma che deve provenire dalle figure preposte alla trasmissione della cultura. Spiace invece apprendere che i genitori degli alunni si recavano con frequenza imbarazzante ai colloqui con l’insegnante, al solo scopo di deriderla o peggio per fare in modo che venisse allontanata dalla scuola e che analogamente i suoi colleghi manifestavano disprezzo verso una donna, che chiedeva solo di essere riconosciuta ed accettata per ciò che era. Nessuno sembra essersi domandato se fosse una brava docente Cloe, così come nessuno si è domandato se fosse una cittadina onesta. Sarebbero dovute essere queste le uniche domande da farsi ed invece la sua sessualità era la sola cosa oggetto di discussione, una discussione che ha portato poi alla condanna di un essere umano, non di un corpo. L’oggettivazione a cui siamo abituati quando affrontiamo la diversità in questa storia è evidente: un transessuale nell’immaginario collettivo non è una persona come le altre. Per rafforzare e mantenere tale diversità si oggettivizza ed allontana l’altro e questo per la ragione che se così non fosse fatto in tanti si accorgerebbero che un’ autentica diversità tra gli esseri umani non esiste.
Eppure sul suo blog Cloe lamentava come la disforia di genere venga ancora considerata una malattia, sulla quale psicologi, psichiatri e chirurghi devono intervenire per permettere il passaggio di sesso e “normalizzare” la diversità, espropriando ancora una volta gli esseri umani del diritto ad essere integri. Cloe sottolineava come di ciò fosse responsabile anche parte del mondo LGBT, che è evidentemente un universo complesso e con molte anime, com’è giusto che sia.
La storia di questa donna, per tanti versi impossibile da leggere e seguire in un percorso che ha portato ad una chiusura al mondo totale ed al violento e tragico rifiuto della vita stessa, ha però degli elementi noti comprensibilissimi, come l’intervento a gamba tesa contro il suo diritto ad essere donna ed insegnare dell’assessora Donazzon, che si fece portavoce dei tanti che chiedevano l’allontanamento dalla scuola di Cloe e che oggi è da più parti subisce una dura reprimenda. Vien legittimo chiedersi il motivo per cui queste stesse parti decidano solo ora di palesarsi. Forse se lo avessero fatto quando Cloe era in vita non si sarebbe giunti al tragico epilogo che conosciamo ma si sa, gli italiani in tante cose sono codardi e si producono in dure levate di scudi solo quando è cessato per loro qualunque forma di rischio.
La storia di Cloe provoca sdegno perché non si è verificata durante il ventennio fascista ed anche perché la felicità per questa donna, poteva non essere un’aspirazione avulsa dalla realtà. Cloe non soltanto aveva diritto ad essere felice, ma avrebbe potuto esserlo, nel modo libero in cui ciascuno di noi decide per sé, spesso desiderando solo piccole cose che rendono la quotidianità accettabile. Cloe era solo ad un passo da questa pacata bellezza che lo stato, attraverso giudici e funzionari moralizzatori ed il tessuto della società civile in cui si trovava a vivere, le hanno negato. C’è da augurarsi che prima o poi un passo non divida più al proprio interno le comunità e che queste imparino ad accogliere ed a far tesoro proprio di quelle esperienze lontanissime dal proprio vissuto, realizzando il cambiamento culturale per cui Cloe aveva invano tanto combattuto.
Rosamaria Fumarola
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