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Società

Storia di Anna, avvocato, con una figlia ai domiciliari (Terza ed ultima parte)

La vicenda paradigmatica di una donna che dimostra da un lato l’importanza di combattere per ciò in cui si crede, dall’altro l’impossibilità di una madre di restare al di fuori delle scelte di una figlia.

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di Rosamaria Fumarola

Mia figlia era assolutamente disinteressata a considerazioni di carattere morale, a riflettere su ciò che significa ledere i principi etici e giuridici che mantengono coesa la società. Non credo che il rispetto della legge e delle consuetudini,  non solo giuridiche, sia legato al possesso di una laurea in giurisprudenza e dunque fu fonte per me di grande sorpresa apprendere che Maria non fosse interessata alla differenza tra ciò che è legittimo e ciò che non lo è ed alla responsabilità che ne consegue. Inizialmente mi dissi che forse aveva ragione e che il mio punto di vista era viziato dalla professione e dalla mia misantropia per avere un valore generalizzato, che forse era più concreto ed utile valutare le persone come faceva Maria. Nonostante tutto ero attendista e rimasi ad osservare. Non ci volle molto tempo per comprendere che il solo modo per valutare una condotta delinquenziale come accettabile era essere o diventare delinquenti, anche se non lo si diventa da un giorno ad un altro. Ma mia figlia il tempo per imparare lo ebbe tutto. 

È vero, la lasciai in una bella casa borghese, con tutto ciò che una giovane della sua età credevo potesse desiderare a disposizione, ma la condivisione, l’accettazione che per lei non avevano  prezzo e che cercava disperatamente le trovò altrove.  Prova ne fu che non le pesò affatto lasciare ciò che aveva ed a cui con tutta evidenza, non attribuiva valore alcuno. Lo fece come lo fanno gli adolescenti al primo amore, che assume un valore assoluto e totalizzante ed a cui non vorrebbero mai rinunciare. Dimenticò le sue origini, ciò che aveva imparato ed abbracciò un mondo che pensavo non fosse possibile desiderare.

La vita di mia figlia non ebbe più nulla a che fare con me. Talvolta mi capitava di vederla sorridente, passeggiare mano nella mano con il figlio di un trafficante barese amico di C. 

Maria non si sentiva più sola. Per me invece la solitudine era sempre stata una compagna fedele, da trattare con rispetto e che sa stare al suo posto. L’avevo accettata e sapevo che tutti, consapevoli o meno, siamo quasi sempre soli. Non ho mai cercato di combattere quella che considero la condizione umana. Riconosco l’esistenza di tante cose, il cui senso o valore ho appreso ed apprendo sempre in solitudine. Sapevo e  vedevo che non siamo tutti uguali, capivo che mia figlia potesse essere molto diversa da me ma, stupidamente, non avevo mai cercato di dotarmi degli strumenti necessari a superare la diversità. Egoisticamente e con un misto di superbia e pigrizia, avevo perso così mia figlia. 

Iniziò ad evitarmi e la sua nuova “famiglia” mi fece capire, dapprima con le buone e poi con le cattive maniere, che dovevo starmene lontana, che non la dovevo cercare. Non l’ ho cercata né vista per un paio d’anni, fino al giorno in cui è tornata a casa per scontare una pena detentiva agli arresti domiciliari. L’intero suo clan è stato condannato per traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. È stato accertato anche un suo coinvolgimento, ma l’ essere incensurata è stata considerata una delle circostanze attenuanti che le hanno permesso di non scontare la pena in carcere. Anche C. è stata condannata, questa volta le è stato impossibile però, evitare la galera.

Maria a casa trascorre tutto il suo tempo al telefono. Non le è consentito, usa così un vecchio cellulare per parlare con i pochi amici che sono ancora liberi. Sembra che in vita sua abbia conosciuto solo il dialetto. 

Non combatto per cambiare questo stato infernale delle cose che, mutatis mutandis, tale deve apparire anche agli occhi di mia figlia, tornata ad essere sola. Di frequente parla di quanto soffra nello stare lontana dal suo ragazzo, dai suoi amici ed il suo dolore è autentico e non posso non accoglierlo, so però che non ha mai smesso di sentirsi parte di un mondo che non è il mio. Questi mesi trascorsi assieme, ci appariranno un giorno come l’inizio di qualcosa di condiviso e questo influenzerà le nostre vite tenendoci legate. 

Oggi però siamo lontane: Maria non ha nostalgia di ciò che da piccola faceva con me, le manca altro ed anche io ne sono responsabile. Forse un giorno avrà dei figli e cercherà di non farli sentire soli. Magari uno di loro mi assomiglierà ed invece cercherà la solitudine. Spero solo che mia figlia mandi lui e gli altri a conoscermi ad incontrare un mondo diverso, così come un giorno io incontrai ed accettai l’esistenza di quell’ universo lontano che lei aveva scelto per sé.

Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano