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Società

Peschereccio Francesco Padre e la verità in fondo al mare.

Il triangolo delle Bermude. Un luogo fisico. Un luogo di mistero. Sinonimo di mistero. Navi, aerei, vite umane trattenute nelle acque di questo triangolo misterioso. Anche l’Italia, ha il suo luogo, sinonimo di mistero. Ad essere sinceri, l’Italia ha più di un luogo con queste caratteristiche. Ustica, però, simboleggia la verità ostaggio delle tenebre.

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Credit foto Diocesi di Molfetta

Credit foto Diocesi di Molfetta

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Il triangolo delle Bermude.  Un luogo fisico. Un luogo di mistero. Sinonimo di mistero.  Navi, aerei, vite umane trattenute nelle acque di questo triangolo misterioso. Anche l’Italia, ha il suo luogo sinonimo di mistero. Ad essere sinceri, l’Italia ha più di un luogo con queste caratteristiche.  Ustica, però, simboleggia la verità ostaggio delle tenebre. Il tratto di mare tra Ponza e Ustica, custodisce i corpi di molti passeggeri del volo Itavia caduto il 27 giugno 1980. Custodisce anche la verità.  « Come Ustica» , così si riassume una vicenda che rimane avvolta dal mistero. Una vicenda, in cui lo Stato non ha potuto o voluto trovare la verità. Come Ustica, è la vicenda del peschereccio Francesco Padre. Partito da Molfetta per una battuta di pesca .  Per la quotidiana, dura vita del pescatore. La gente che vive con e grazie al mare, impara a rispettarlo. Lo rispettava il comandante del Francesco Padre, Giovanni Pansini. Lo rispettavano Luigi De Giglio, Saverio Gadaleta, Mario De Nicolo e Francesco Zaza. Membri dell’equipaggio del Francesco Padre. Aveva imparato a rispettarlo anche il cane Leone.  Il mare ha le sue leggi. Se le conosci e le rispetti, non hai nulla da temere. Gli uomini però, non sempre hanno leggi o semplicemente le ignorano.  Il Francesco Padre si dirige in Adriatico, verso le coste dell’ex Jugoslavia. Non sono acque tranquille. E’ il 1994, c’è una guerra civile. Tante armi, tanti affari sporchi. Pochi scrupoli. L’ equipaggio del Francesco Padre, conosce i rischi. Fanno il loro lavoro, un duro lavoro quello del pescatore. Con scrupolo e onestamente. Per mantenere le proprie famiglie. Questo fanno la notte tra il 3 e il 4 novembre 1994, quando il peschereccio Francesco Padre affonda avvolto dalle fiamme. A 20 miglia da Budva, al largo delle coste del Montenegro. Il relitto, in fiamme, viene avvistato da un aereo statunitense. Stranamente verrà posto il segreto sulle generalità  dei piloti del velivolo militare.  Viene ritrovato solo il corpo di Mario De Nicolo.  Iniziano le indagini. E iniziano male. Per gli investigatori, il Francesco Padre trasportava esplosivi. Insomma non erano pescatori, ma contrabbandieri.  Avviene la detonazione accidentale dell’esplosivo illegalmente trasportato. Un modo per chiudere la vicenda velocemente. Gli uomini del Francesco Padre, però, sono relamente pescatori. Conosciuti e rispettati.  Nessuna prova scientifica a sostegno dell’ipotesi del trasporto di esplosivo. Anzi quando nel 1996, un robot ispeziona il relitto, si scopre che il peschereccio non mostrava segni di una forte esplosione. Era presente solo una falla a poppa ( con foro di entrata e di uscita ) e fori di proiettile a prua.

Le immagini del robot, mostrano anche resti di corpi. Che lo Stato non ritiene di dover recuperare. Corpi che mostrano fori di proiettile.  Anche di grosso calibro, tanto da provocare una falla nello scafo. Quindi un calibro militare. Tre distinte indagini. Tre distinti tentativi di trovare la verità. Senza successo. Poche certezze e molte ipotesi. E’ certo che il Francesco Padre non trasportava esplosivi. E’ certo che Giovanni, Luigi, Saverio, Mario e Francesco, erano degli onesti lavoratori.  Perché il Francesco Padre viene attaccato? Qui restano solo ipotesi.  Colpito per errore durante operazioni militari collegate all’operazione Nato  «Sharp Guard» e alla guerra civile che incendiava l’ex Jugoslavia.  Colpito per vendetta dalla malavita organizzata serbo-montenegrina, che pretendeva il pizzo dai pescatori italiani. Colpito da un ordigno esplosivo che urta la nave o che era finito nella rete della nave.  Atto criminale o sfortuna? Certo che il nome Francesco Padre non era particolarmente fortunato.  Nella notte tra il 13 e 14 ottobre 1978 il motopeschereccio Francesco Padre, parte dalla spiaggia di Martinsicuro (Teramo). A bordo i fratelli Vittorio e Gianfranco De Fulgentiis.  Per cause mai accertate, il peschereccio affonda.  A due miglia a largo della foce del fiume Tronto. I corpi senza vita dei due fratelli, vengono ripescati in mare.

A distanza di anni, tanti, resta il vuoto di una verità che manca da tanto. Il Francesco Padre attende di ritornare a Molfetta. Con il suo carico di verità. Di dignità.