Editoriale
L’eterno dilemma tra forma e sostanza
di Lavinia Orlando
Dall’onestà al progressismo. Nel corso degli anni, i concetti chiave del Movimento Cinque Stelle sono mutati. I grillini delle origini ripetevano la parola “onestà” fino allo sfinimento, come sottofondo di qualsivoglia comizio e primo punto fondante la forza politica.
Nel tempo, tuttavia, ci si è resi conto che la sola onestà non è sufficiente, avendo il Movimento condotto in Parlamento, talvolta nei luoghi decisionali, donne e uomini di spiccata onestà, ma dalla scarsa competenza, per non parlare di chi, pur partendo da manifesta rettitudine, ha finito per perderla lungo un percorso inevitabilmente pieno di insidie.
Si è fatta, dunque, strada l’esigenza di accendere i riflettori su altre caratteristiche, pur mantenendo l’onestà come fulcro, ma cercando ulteriori fuochi in grado di distinguere i Cinque Stelle dagli altri colleghi politici.
Superata la prima fase di governo con la Lega, caratterizzata dall’approvazione di taluni scellerati provvedimenti – tra tutti, il Decreto Sicurezza – e giunti all’esecutivo Conte – bis, si è palesata quella che sembrerebbe essere la reale natura del Movimento e che, in realtà, già durante la stessa alleanza con Salvini, si era, a tratti, evidenziata.
Come altro definire, ad esempio, il reddito di cittadinanza, se non come un provvedimento di sinistra – per l’appunto dopo poco tempo rinnegato da Salvini? Nonostante la previsione di storture da sistemare, la misura è stata fondamentale, soprattutto durante gli anni del Covid, per evitare il crollo dello Stato. Cosa dire, ancora, di tante altre proposte, tra cui il salario minimo legale, successivamente fatta propria anche dal Partito Democratico?
Il Movimento, tuttavia, rinnega la qualificazione “di sinistra” per abbracciare le idee di “progressismo ed indipendenza”.
Al netto del sentire comune che considera progressismo e sinistra quali sinonimi, basti la definizione che Conte fornisce del primo: “non rassegnarsi ai privilegi ed alle diseguaglianze…progressista significa applicare la Costituzione”. Si consideri, a conferma, il voto del Movimento su tematiche di stretta attualità, quali le guerre in Ucraina ed a Gaza, l’invio di armi, la Commissione Ursula, in tutto analogo alle scelte di Alleanza Verdi e Sinistra, che è al momento la forza più tradizionalmente di sinistra rappresentata nelle istituzioni del nostro Paese.
Il dilemma, per il popolo della sinistra, sarebbe, dunque, il seguente: preferire chi tale non si definisce ma che si batte per idee e provvedimenti che guardano a sinistra, o chi, pur qualificandosi di sinistra, si comporta in senso differente?
La domanda non è poi così peregrina, anche perché fa da sfondo agli ultimi decenni della politica nostrana, a partire dalla scissione del vecchio Partito Comunista. Se in quest’ultimo caso, l’abiura dell’aggettivo comunista ha avuto un significato sostanziale, così come anche il successivo passaggio da Democratici di Sinistra a Partito Democratico, ci si chiede se anche nel voler nascondere a tutti i costi l’evidenza, costantemente contrastando quel “di sinistra” di cui il Movimento Cinque Stelle sembrerebbe quasi vergognarsi, ci sia l’intento di superare determinati valori e principi.
Spetta, dunque, agli elettori la scelta tra una Elly Schlein che, nonostante sia la leader del principale partito di centrosinistra, abbia, solo per citare l’ultima tra le tante, enormemente ritardato nel proferire parola sulla crisi Stellantis ed un Giuseppe Conte che disquisisce fino alla nausea di tutto tranne che di sinistra, nonostante su Tavares ed Elkann abbia idee molto più chiare della sua collega democratica.
Tra i due sarebbe preferibile una terza alternativa, caratterizzata da chiarezza formale e sostanziale, da cui, tuttavia, siamo, da decenni ormai, ben lontani.
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