Editoriale
Omofobia di Stato
di Lavinia Orlando
La società si evolve ed i tempi cambiano, ma ci sono ancora governi che pensano di poter arrestare calendari ed orologi, se non addirittura di costringere i Paesi che governano a regredire. Così come si ritiene di riuscire a fermare le migrazioni – ma solo quelle provenienti da Africa ed Asia – c’è chi, analogamente, valuta che lesbiche, gay, bisessuali, transgender ed altre identità sessuali non meritino il medesimo trattamento di donne e uomini.
Così, proprio nella Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, che si celebra, ogni anno dal 2004, il 17 maggio, il governo italiano ha dato ampio sfoggio della sua reale natura.
Nonostante i proclami, le dichiarazioni di intenti e le promesse di “essere sempre in prima linea” contro “discriminazioni e violenze inaccettabili che ledono la dignità delle persone”, Meloni e sodali hanno chiaramente indicato la via da seguire attraverso la scelta di non firmare la dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore della comunità Lgbtiq+ promossa dal Belgio.
Unitamente ad altri otto Stati, tra cui l’alleata e ben poco campionessa di tutela dei diritti Ungheria, l’Italia non dà il suo assenso ad un provvedimento che fa riferimento a promozione dell’uguaglianza, lotta alla discriminazione, riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone Lgbtiq+, rafforzamento della loro protezione e garanzia di parità di accesso ai servizi sanitari.
Ancora una volta, non ci sarebbe da scandalizzarsi, se solo si guardasse alle precedenti esternazioni della Presidente del Consiglio e dei suoi alleati sul tema, con la totale sacralizzazione di famiglia e ruoli tradizionali ed il disconoscimento delle tante sfumature che caratterizzano la sessualità umana.
Il ruolo di governo ha necessariamente costretto Meloni a mitigare apparentemente le proprie posizioni, perché sarebbe stato poco popolare, anche sotto il profilo elettorale, proseguire su posizioni oltranziste, ma la natura, si sa, non può essere totalmente celata.
Un’altra teoria si aggiunge, dunque, a quella già abbastanza discussa della sostituzione etnica. Oltre al piano di sostituzione etnica elaborato da una non ben chiara élite che mirerebbe a generare una società priva di differenze razziali e per questo più facilmente manipolabile, c’è ora la teoria del gender, anch’essa fortemente osteggiata da chi ci governa, per cui, se è vero che non esistono differenze tra i sessi e che ciascuno è libero di vivere a piacimento la propria sessualità, questo comporterebbe la distruzione della famiglia, circostanza da avversare con tutte le forze possibili.
Queste sarebbero le ragioni sottese alla mancata firma della dichiarazione europea di cui si discorre: l’Italia di Meloni non accetta la negazione dell’identità maschile e femminile, per cui, se qualcuno dovesse avere un’identità di genere diversa dal proprio sesso biologico, non avrebbe diritto di cittadinanza nel nostro Paese. Non può che essere questa la diretta conseguenza della scelta ultima del nostro governo.
Definirsi contrari a qualsivoglia forma di discriminazione sessuale partendo dal presupposto che il genere non possa essere differente dal sesso biologico è un’affermazione talmente contraddittoria da risultare quasi ridicola, se solo non ci fossero in ballo le vite di migliaia di persone. Un governo che nega le diversità è un governo che alimenta le paure e che, lungi dal costruire una società in grado di comprendere e governare i processi, si pone sullo stesso piano di chi soffoca le libertà e tarpa le ali ai propri cittadini.
RIPRODUZIONE RISERVATA ©