Politica
Autonomia differenziata, era il 1722…
Alla fine l’Italia potrebbe spaccarsi proprio quando al Governo c’è il partito con la “Patria” al centro del programma, il cui nome, altra ironia della sorte, è proprio “Fratelli d’Italia”. In un centrodestra in cui i parlamentari si battono per rivendicare la sovranità in ogni sua declinazione (culturale, linguistica, alimentare, marittima, legislativa…), mentre generali simpatizzanti si paragonano a Giulio Cesare, la Presidente del consiglio cita sempre l’idea di nazione, poi il suo Governo tenta di approvare un provvedimento capace di intaccarla.
di Alessandro Andrea Argeri
Alla fine l’Italia potrebbe spaccarsi proprio quando al Governo c’è il partito con la “Patria” al centro del programma, il cui nome, altra ironia della sorte, è proprio “Fratelli d’Italia”. Al Senato è passato il disegno di legge sull’autonomia differenziata, secondo cui le Regioni potrebbero gestire i soldi riscossi dai contribuenti con ampia indipendenza in molte materie rispetto al Governo centrale.
In altre parole, le Regioni diventerebbero degli Stati all’interno dello Stato: la scuola pubblica nazionale sparirebbe perché i programmi verrebbero decisi dagli assessori; i professori selezionati con concorsi regionali; l’autonomia energetica decisa dalla singola regione; la sanità interamente privatizzata così come i trasporti. Inoltre, poiché al momento la riforma è a costo zero, l’autonomia differenziata sarebbe a carico delle singole Regioni, le quali dovrebbero allora tassare ulteriormente i cittadini. Ancor più difficile è prevederne gli effetti: se da un lato potrebbe responsabilizzare le Regioni meno efficienti, dall’altro si correrebbe il rischio di dividere a metà il Paese in quanto i territori più avanzati lascerebbero indietro quelli economicamente più arretrati.
Di sicuro questo non è il modo migliore per risolvere le disparità Nord-Sud, soprattutto perché le divisioni sociali alimenterebbero ulteriormente quelle culturali, le quali verrebbero così esasperate, dai pregiudizi antimeridionali all’accusa di aver, come ha spiegato Antonio Polito sul Corriere, “depredato il Meridione che invece, prima dell’Unità, quando c’erano i Borboni, era una specie di paradiso in terra, luogo di civiltà e progresso senza pari in Europa. Due balle, ovviamente. Ma due balle cui non rinunceranno pur di provare a vincere una gara che diventerebbe così, ipso facto, un referendum sull’Unità d’Italia, e la spaccherebbe in ogni caso”. Altro dubbio: ha senso aumentare il potere dei Governatori locali in territori dove è ancora forte il peso sia della criminalità organizzata sia di veri signori locali abbastanza influenti da essersi già quasi sostituiti allo Stato centrale?
In un centrodestra in cui i parlamentari si battono per rivendicare la sovranità in ogni sua declinazione (culturale, linguistica, alimentare, marittima, legislativa…), mentre generali simpatizzanti si paragonano a Giulio Cesare, la Presidente del consiglio cita sempre l’idea di nazione, poi il suo Governo tenta di approvare un provvedimento capace di intaccarla. Eppure nel 2014 la stessa Meloni aveva presentato in Parlamento una riforma Costituzionale per abolire le Regioni. L’umorismo è l’avvertimento del senso del contrario, ma la politica italiana non è un dramma di Pirandello, o perlomeno non dovrebbe esserlo. Avere un Governo con una solida maggioranza ha i suoi pro poiché garantisce stabilità alle istituzioni, tuttavia ha anche i suoi contro in quanto il legislatore può agire con ampi margini di libertà, forse troppi vista la poca responsabilità della nostra classe dirigente.
Ad ogni modo, l’Iter di approvazione della legge è ancora lungo, a partire dal voto alla Camera ancora da definire. Di sicuro però, considerati i numeri del centrodestra in Parlamento, ci sono buone possibilità di veder approvata l’autonomia differenziata, a meno di un cambio di Governo al momento impossibile. Magari per quell’anno tornerà il Regno di Sardegna, la Repubblica di Venezia, il Granducato di Firenze, lo Stato della Chiesa al centro, il regno di Napoli a Sud. Forse al Meridione riavremo i Borbone gli austriaci si riprenderanno Trento e Trieste. Quando a settembre 2022 si è insediato l’attuale Governo molti credevano di essere tornati nel 1922; si erano sbagliati di altri due secoli: era il 1722.
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