Editoriale
La Meloni ed il Memorandum della vergogna
“Il morto non è il morto: è la morte”. In queste scarne parole il genio di Jorge Luis Borges offriva il suo contributo alla storia dell’umanità, tentando di spiegare il manifestarsi della morte alla vita, il suo imporsi in termini di forma e quindi sostanza su questa. Eppure l’immagine che circola da qualche giorno su tutti i media, che ritrae una donna morta di sete assieme a sua figlia nel deserto tra Libia e Tunisia, sembra smentire il pensiero di Borges: i due corpi infatti, l’uno di fianco all’altro, sono veicolo di una condizione ancora viva, quella che lega profondamente nell’amore e nel dolore una madre ad una figlia.
“Il morto non è il morto: è la morte”. In queste scarne parole il genio di Jorge Luis Borges offriva il suo contributo alla storia dell’umanità, tentando di spiegare il manifestarsi della morte alla vita, il suo imporsi in termini di forma e quindi sostanza su questa. Credo che milioni di persone abbiano trovato nella brevissima riflessione dello scrittore argentino, coincidenza assoluta con ciò che è stata la propria esperienza della morte altrui. Eppure l’immagine che circola da qualche giorno su tutti i media, che ritrae una donna morta di sete assieme a sua figlia nel deserto tra Libia e Tunisia, sembra smentire il pensiero di Borges: i due corpi sono l’uno di fianco all’altro, nient’affatto spersonalizzati ma al contrario veicoli di una condizione ancora viva, quella che lega profondamente nell’amore e nel dolore una madre ad una figlia. Anzi tale condizione sovrasta la canzone di una sola nota della fine della vita. Come accade quasi sempre non conosciamo i nomi di questa madre e questa figlia, morte come tanti nel tentativo di garantirsi una vita migliore. Eppure il loro racconto è pienamente intelligibile, universalmente intelligibile. L’universo sembra non cogliere quel messaggio, anzi non lo fa mai o quasi mai di fronte a questo tipo di tragedie e preferisce pagare centinaia di milioni di euro affinché i migranti muoiano lontano. Il memorandum d’intesa tra UE e Tunisi legittima infatti qualsiasi misura in grado di contenere i flussi migratori ed il governo autoritario di Saied siamo certi che declinerà l’accordo nella maniera meno rispettosa dei diritti umani. La premier Meloni si è detta però soddisfatta dell’accordo raggiunto attraverso lo strumento del memorandum che, bisogna ricordarlo, non necessita della valutazione e del consenso parlamentari per produrre i suoi effetti, in questo caso l’erogazione di una pioggia di danaro a favore del governo di Tunisi, governo che non brilla certo per una politica democratica e di rispetto della vita umana. Era accaduto qualcosa di analogo attraverso gli accordi stretti negli anni passati con Libia e Turchia. Grazie al memorandum tanto apprezzato dalla signora Meloni, si verificano già da settimane deportazioni di massa verso il confine libico e quello algerino, con la conseguenza che centinaia di uomini, donne e bambini sono respinti nel deserto senza cibo né acqua, in una prigione infernale nella quale aspettano solo la morte. Il deserto dunque, non il mare come bara. Un patto criminale ma in fondo anche stupido, visto che accordi simili stretti dai precedenti governi, non hanno mancato di rivelare tutti i loro limiti, denunciati dai tanti che, in un mondo dominato da internet, con un semplice cellulare hanno ritratto l’orrore e lo hanno diffuso in rete.
L’orrore è in questi giorni quello dei corpi di madre e figlia morte di sete e di stenti nel deserto. Vien da chiedersi cosa avrà pensato questa donna di fronte all’impotenza di salvare sé stessa e la sua bambina. Cosa le avrà raccontato mentre la tragedia si stava compiendo, lei che per sua natura era capace dell’impossibile per salvare la carne della sua carne?
A ben guardare le morti in questo caso sono tre: quella di una donna impossibilitata a garantirsi la vita, quella di una madre impossibilitata a garantirla alla propria figlia e quella di una bambina, incapace in quanto tale di elaborare una via di fuga.
Era stesa di fianco alla madre in una fiduciosa richiesta di amore. Questo scatto infatti non ci racconta solo la morte, ma il dialogo intimo tra due esseri, le parole di una richiesta di accoglienza e salvezza che in questo caso nemmeno la più forte delle donne avrebbe potuto garantire alla propria bambina.
Rosamaria Fumarola
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