Editoriale
Per un pugno di voti
Era un normale venerdì di maggio. Il sole splendeva alto nei cieli della Patria durante un tranquillissimo comizio di chiusura campagna elettorale a Catania, quando improvvisamente qualcuno deve aver visto degli spaventosissimi finanzieri in coppola e lupara. Secondo alcune voci, il terrore tra i presenti si sarebbe diffuso più velocemente della peste di Gogol. A quel punto i bambini sarebbero scoppiati a piangere, le gestanti avrebbero abortito, gli uomini sarebbero svenuti, finché a un certo punto una voce eroica ha gridato: “La lotta all’evasione fiscale si fa dove sta davvero l’evasione fiscale: le big company, le banche, le frodi sull’Iva, non il piccolo commerciante al quale vai a chiedere il pizzo di Stato”.
di Alessandro Andrea Argeri
Era un normale venerdì di maggio. Il sole splendeva alto nei cieli della Patria durante un tranquillissimo comizio di chiusura campagna elettorale a Catania, quando improvvisamente qualcuno deve aver visto degli spaventosissimi finanzieri in coppola e lupara. Secondo alcune voci, il terrore tra i presenti si sarebbe diffuso più velocemente della peste di Gogol. A quel punto i bambini sarebbero scoppiati a piangere, le gestanti avrebbero abortito, gli uomini sarebbero svenuti, finché a un certo punto una voce eroica ha gridato: “La lotta all’evasione fiscale si fa dove sta davvero l’evasione fiscale: le big company, le banche, le frodi sull’Iva, non il piccolo commerciante al quale vai a chiedere il pizzo di Stato”.
Chi sarà mai costui? Forse un evasore? Robin Hood? Il milionario Bruce Wayne? Karl Marx sotto acidi? Alzi la mano chi avrebbe pensato di sentire questa frase dopo le ventitré nei migliori pub di periferia, oppure nei più frequentati bar di paese alle cinque del mattino, magari pronunciata da quell’amico disoccupato, un po’ alticcio, sempre in lotta con la vita, insomma l’“underdog” di turno. Invece l’ha detta il presidente del Consiglio, o la “presidentessa”, come sarebbe più corretto secondo la grammatica italiana, la lingua nazionale italica. Se poi “suona strano” è una questione “diafasica”, ovvero di registro.
Quando Meloni dice: “Al piccolo commerciante non bisogna chiedere il pizzo di Stato”, viene spontaneo chiedersi chi evada di più in Italia. Secondo l’ultima relazione pubblicata dal Governo nel 2019, l’evasione è stata di 99,7 miliardi. Il valore è in calo ma ancora molto alto. Giusto per rendere l’idea, l’ultima legge di bilancio è stata di “appena” 35 miliardi. Perché l’evasione è un fenomeno sostanzialmente di massa, in quanto coinvolge sia le grandi multinazionali sia le piccole e medie imprese così come i lavoratori autonomi. Quali tasse si evadono?
- L’IVA: può essere evasa da tutti i contribuenti, ma più facilmente dai piccoli esercenti e le piccole aziende poiché basta non emettere lo scontrino. Ammontare evasione: 27,7 miliardi; percentuale evasa della tassa: 20,4%.
- IRPEF lavoro autonomo e impresa: è evasa dai lavoratori autonomi e dalle piccole imprese. Ammontare evasione: 32,4 miliardi; percentuale evasa della tassa: 69,1%.
- IRPEF lavoro dipendente (irregolare): nel caso del lavoratore dipendente, è evasa dal datore di lavoro. Ammontare evasione: 4,6 miliardi; percentuale evasa della tassa: 2,8%.
- IRES: è evasa soprattutto dalle società di capitali e per azioni, principalmente le grandi imprese e banche. Ammontare evasione: 8,7 miliardi; percentuale evasa della tassa: 23,2%.
Dunque l’IRPEF da lavoro autonomo e d’impresa è la voce più rilevante dell’evasione fiscale, infatti i lavoratori autonomi assieme alle piccole imprese non pagano in media il 69% delle imposte sul reddito rispetto a quanto dovrebbero pagare. Inoltre, scrive Startingfinance, “per le grandi imprese e le banche evadere non è semplice. È facile invece illudere le imposte con strategie legali ma poco trasparenti, come il trasferimento della sede legale all’estero”. Così, secondo The Missing Profits of Nations, “le multinazionali hanno eluso 24 miliardi di profitti nel 2015 in Italia”.
Nessuno si stupirebbe se un evasore paragonasse il pagamento delle tasse al pizzo, cioè all’estorsione. Ma quando a dirlo è il capo del Governo ci rimangono di sasso i cittadini onesti, chi paga le imposte pur con tutte le difficoltà nonostante il carovita, le continue crisi, le infinite emergenze, i salti mortali delle famiglie per quadrare i conti. Una dichiarazione del genere equivale a prendere le parti di chi è contro le istituzioni, la collettività, il bene comune, lo Stato, il welfare, perché dal fisco viene la sussistenza dei beni statali. Bisognerebbe piuttosto urlare contro lo spreco di denaro pubblico, il cui uso dipende dalla capacità della nostra classe politica.
Se “la pressione del fisco è troppa”, per alleggerirla basterebbe creare un sistema in cui tutti pagano le tasse, così potremmo finalmente abbassarle. Invece no. Meglio condonare per un pugno di voti. Quando era in piena ascesa politica Berlusconi riusciva a convincere perché credeva alle sue stesse bugie. Meloni invece non sa di mentire, oppure, o eppure, è sulla strada giusta per prendere il posto del Cavaliere.
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