Politica
Partiti nella tempesta
Nonostante mesi e mesi per prepararsi all’appuntamento, con il conseguente decrescente impegno a livello legislativo, forze politiche e Parlamento non hanno saputo preparare risposta all’altezza delle aspettative di molti cittadini, per di più dividendosi al loro interno, dando vita a deflagrazioni la cui portata è ancora in via di definizione.
Di Lavinia Orlando
Ciò che maggiormente colpisce dell’arzigogolato percorso che ha condotto alla rielezione del Presidente Mattarella è la straordinaria capacità dei tanti attori protagonisti della vicenda di tentare di porsi tutto alle spalle a distanza di poche ore dall’avvenuto voto definitivo, come se quanto capitato fosse frutto di problematiche non a loro addebitabili.
Non è grossa scoperta la proverbiale faccia tosta dei nostri amati politici, capaci di affermare tutto ed il contrario di tutto a distanza di poche ore, contando sulla memoria corta ed il pelo sullo stomaco degli italiani. Ciò che, tuttavia, è successo, in occasione della partita quirinalizia va davvero al di là di qualsivoglia nefasta immaginazione.
Nonostante mesi e mesi per prepararsi all’appuntamento, con il conseguente decrescente impegno a livello legislativo, forze politiche e Parlamento non hanno saputo preparare risposta all’altezza delle aspettative di molti cittadini, per di più dividendosi al loro interno, dando vita a deflagrazioni la cui portata è ancora in via di definizione.
Partito Democratico, Movimento Cinque Stelle e Lega, ciascuno con le proprie difficoltà, sono giunti alla fine della vicenda con estreme problematiche, in termini di mantenimento della leadership interna e di conseguente immagine pubblica, con l’ulteriore imbarazzo legato alla circostanza di non aver saputo proporre un nome, che fosse uno, in grado di superare la notte.
Ciascuno dei leader dei maggiori tre partiti che compongono la maggioranza a sostegno di Mario Draghi ha dato il peggio di sé. Letta con i suoi assordanti silenzi, Conte con il suo eccessivo cerchiobottismo e Salvini con la sovraesposizione mediatica da ansia da prestazione hanno davvero superato, in negativo, quanto di peggio ci si potesse attendere.
Nonostante da più parti si sia affermato che il vero vincitore della “Quirinale querelle” sia stato Enrico Letta, che, già in tempi non sospetti, dichiarava il suo amore incondizionato per una possibile rielezione di Matterella, il rovescio della medaglia narra un’altra storia. Il nome del riconfermato Presidente, infatti, altro non è che scelta di comodo in relazione alla totale e vergognosa assenza da parte del principale partito di centrosinistra di candidati alternativi. Trattasi di una lacuna che non ammette scusanti e che rappresenta il vuoto che il Partito Democratico lascia dietro di sé. Nulla togliendo a Mattarella, che il Segretario del Pd non sia stato in grado – o non abbia potuto – indicare nessuno è segno di smarrimento, cattiva gestione, incapacità di costruzione di classe dirigente e di rapporti, risultato di anni ed anni di voluta edulcorazione valoriale.
Circa il Movimento Cinque Stelle, le elezioni hanno reso ancora più palese l’enorme distanza esistente tra il leader formale, Giuseppe Conte, e l’ex capo politico, di professione Ministro, Luigi Di Maio – ora addirittura dimissionario dal Comitato di garanzia del Movimento. Per quanto si sia tentato di sviscerare il contrasto tra i due, motivandolo con le ragioni più varie, resta una verità di fondo: all’interno del Movimento che inneggiava alla rivoluzione delle rivoluzioni politiche si sta consumando la più tradizionale tra le beghe fratricide, fatta di bande contrapposte e tentativi di accoltellamenti surrettizi, con l’aggravante, tipica dei classici partiti, dell’assenza di serie motivazioni politiche o, perlomeno, con l’incapacità di fornirne una convincente spiegazione.
Con riguardo alla Lega, è evidente il totale fallimento patito da Matteo Salvini, che ha dimostrato enorme incapacità di conduzione di un momento così importante come l’elezione del Presidente della Repubblica. Tornerebbe del tutto inutile ripercorrere i tanti nominativi, anche di valore, buttati al macero, a dimostrazione della più totale assenza di un qualsivoglia filo conduttore nell’azione politica, con conseguenze di duplice natura: difficoltà nell’alleanza di centrodestra e calo nel gradimento del leader. Al contrario di quanto sarebbe avvenuto a parti inverse in una forza di centrosinistra, tuttavia, tale debacle non si è tradotta nel tentativo di scalata del partito da parte di altri, in quanto il contrasto interno, pur esistente, resta sullo sfondo, vista la consapevolezza dei più di non poter fare a meno dell’abilità comunicativa di un Salvini pur al momento orfano delle sue tematiche predilette – tutto quanto sia connesso con i migranti, per intenderci.
Stante tale situazione, considerato che le tre forze sopra viste sarebbero anche l’anima del c.d. governo dei migliori, ci si chiede in quale stato e con quali prospettive il nostro Paese continuerà ad essere governato e, soprattutto, quali saranno le basi a partire dalle quali verranno poste in essere determinate scelte in luogo di altre.
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